Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 7,11-17.
In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla.
Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!».
E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!».
Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo».
La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.
[Fonte: vangelodelgiorno.org]
Oggi Dio ci vuole fare dono della Vita. No, non è ridicolo! La Chiesa ci presenta due giovani, due figli unici di vedove, morti, a cui è ridonata la vita fisica. Uno torna in vita perché “il Signore ascoltò la voce di Elia” (1 Re 17, 22), che ha potuto dire alla vedova di Zarepta: “Guarda! Tuo figlio vive” ( 1 Re 17, 23).
L’altro viene restituito a sua madre da Gesù che “fu preso da grande compassione per la vedova di Nain” (cfr. Lc. 7.13) a cui disse: “Non piangere!” (Lc. 7.13).
Si potrebbe dire: e allora? Questo sarà anche successo al tempo di Elia e al tempo di Gesù, ma come può accadere a me che sono vivo? Oggi noi possiamo cantare “Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato” (sal.30,2); oggi ancora il Signore fa risalire la mia vita dagli inferi (sal. 30,4): mi dona la grazia di stare consapevolmente con lui, di riconoscere che lui si è messo in gioco per me, per noi. Sì, per noi, questa è la cosa grande: il Signore mi ridona la vita ogni volta che mi accorgo che il mio essere persona, a immagine e somiglianza sua, si realizza nel noi.
”Non come se si trattasse di molti, ma come a uno solo, cioè Cristo…Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.” (cfr. Gal. 3,15-4,7).
Questa è la vita: vivere come Corpo di Cristo,lasciando che Dio si prenda cura di noi (cfr. 1 Pt. 5,7) e noi di Dio, attraverso la condivisione con i fratelli, spendendo tempo per loro, accorgendoci di loro. Così “il mio lamento si muta in danza” (sal. 30.12), passo dal pianto alla gioia, alla festa. E non si fa festa da soli!
Anche Luca nel Vangelo ci presenta due immagini molto simili, ma allo stesso tempo profondamente diversi. Da una parte a Nain c’è Gesù, l’Unigenito del Padre che si è fatto in tutto come noi per farci come lui, che non è solo, con lui camminano i suoi discepoli e una grande folla. Dall’altra c’è un altro figlio attorniato da molta gente e da sua madre. Quale è la differenza?
Da una parte c’è la vita di Gesù che è pienezza, che tracima, contagia, tocca e benefica tutti, è tenerezza, compassione, attenzione, cura, comprensione, misericordia, perché è “vita per”, dall’altra la morte che si trasforma in dolore e profonda sofferenza per aver perso un legame importante, l’unico che era rimasto.
La nostra vita può essere piena, possiamo già ora vivere la vita vera che non finisce con la morte fisica, se riconosciamo ciò che siamo: noi siamo ed esistiamo insieme. Possiamo questo se restiamo intimamente uniti alla passione del Figlio (cfr.Colletta della X Domenica del Tempo Ordinario, anno C), che è amore per l’uomo, amore previdente per ciascuno di noi. Siamo vivi per davvero quando anche noi abbiamo la stessa passione per l’uomo!
“Siamo stati scelti fin dal seno di nostra madre e chiamati con la sua grazia” (cfr. gal.1,11-19) proprio a questo! Questo è quello che sant’Agostino chiama risorgere nel cuore: “E’ cosa ben più grande risuscitare chi vivrà per sempre, che non chi dovrà morire di nuovo” (disc. 98 di sant’Agostino).
Monache Benedettine Monastero SS. Salvatore Grandate