Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 10,46-52.
Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!».
Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!».
E Gesù gli disse: «Và, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.
“Nel vangelo 1 di Marco questo cieco è l’unico – dopo i demoni, ma in modo ben diverso! – che
chiama Gesù per nome. Ha con lui un rapporto personale di conoscenza e di familiarità.
Chiamare Gesù è pronunciare il Nome, il solo in cui c’è salvezza (At 4,12).
Questo cieco è specchio di ciascuno di noi. attraverso l’ascolto ha sentito la promessa di Dio, e
può desiderare e chiedere ciò che vuol donarci. L’invocazione del nome di Gesù trova risposta
nella sua chiamata, che lo fa balzare in piedi, gettare il mantello, andare da lui, pregarlo per
ottenere la vista, in modo da poterlo seguire nel suo cammino, questa è la salvezza concessa a
chiunque invoca il suo nome.
Mendicante: il mendicante è uno che di professione “chiede” ciò che vuole. E’ simile al
bambino, che vive di ciò che riceve. Rappresenta la situazione creaturale e filiale accettata. La
parola greca, più che la povertà, la sua qualità di “uno che desidera, brama, chiede, domanda”.
E’ l’unica qualità positiva del discepolo. Si può infatti commettere per orgoglio la stupidità di
non chiedere ciò di cui si ha bisogno.
Udito che è Gesù: il cieco può udire e parlare. L’orecchio e la lingua fu già guarita dalla parola
potente (7,31ss; 9.14 ss). La fede viene dall’ascolto (Rm 10,17) , principio della visione, che ne
è il compimento (1Cor 13,12).
Cominciò a gridare: il grido, forma fondamentale di preghiera, esprime sofferenza e disagio.
C’è un grido che si alza dall’abisso (sal 130) e un altro che si leva dalla terra di schiavitù (Es
2,23s). Ci sarà infine il grido di Gesù dall’alto della croce: Dio non può non udirlo, come una
madre quello del Figlio.
Gesù: significa “JHWH salva”. E’ il nome di Dio tra gli uomini. Pronunciarlo ci salva (Rm 10,13;
At 2,21). Non è magia. (…) Noi siamo seduti nell’abisso di Gerico – inferno delle nostre
solitudini – presi dagli interessi, venduti al peccato appiccicati al nostro io, timorosi della vita
e dalla morte. L’invocazione del suo nome è la medicina che ci libera e ci fa suoi discepoli.
Abbi pietà: la misericordia è l’essenza di Dio. Egli non è misericordioso: è misericordia – amore
che si riversa su tutti i suoi figli, non in proporzione al merito, ma al bisogno. Misericordia in
ebraico si dice “hesed” e “rahamin”, due parole che indicano la fedeltà sicura e operosa di un
amore viscerale, materno, uterino. Gesù rivela questo Dio proprio perché mi ha amato e ha
dato se stesso per me (Gal 2,20).”
“Innalzate canti di gioia … il Signore ha salvato il suo popolo il resto di Israele … erano partiti
nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni, perché io sono un padre per Israele”. Come il
profeta Geremia, così può cantare il cieco: lui, il resto, nel pianto, salvato e consolato dal
padre di Israele. Succede anche a noi! Ed è il Signore che ci viene incontro nella vita! Grandi
cose fa il Signore per noi … alcune volte ci mettiamo un po’ a scoprirle, altre volte noi ci
saremmo salvati diversamente … altre volte la salvezza del Signore non ci va per niente.
Quanto tempo ci vuole per riconciliarci con il modo di fare del Signore, accettarlo e credere
che è vita!
1 S. FAUSTI, Ricorda e racconta il Vangelo, Ancora, 1996, 344ss
Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate