Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 10,46-52.
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.
Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!».
Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!».
E Gesù gli disse: «Và, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.
Quello che le lega le tre letture è la parola figlio.
Nella prima lettura si parla di primogenito e rappresenta Israele che sarà riportato dall’esilio, e il
Dio di Israele si definisce “suo padre”.
Nella lettera agli Ebrei di nuovo Dio si definisce padre perché ha detto a Gesù “tu sei mio figlio
oggi ti ho generato”, dandogli l’investitura di sommo sacerdote che redime l’umanità.
Nel vangelo un figlio cieco grida a Gesù “figlio di Davide” più volte per essere guarito. Il cieco si
specifica sia figlio di Bartimeo e sa che Gesù è figlio di Davide.
Tutti siamo figli. Non tutti padri o madri, ma di sicuro tutti figli.
Dio ha scelto questo legame con noi; esistenziale e sanguigno.
In Gesù siamo figli nel figlio.
Questo legame a volte semplice, a volte consolante, a volte drammatico possa essere vivo nella
nostra quotidianità.
Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate