Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 10,2-16.
Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?».
Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma.
Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina;
per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola.
Sicché non sono più due, ma una sola carne.
L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto».
Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse:
«Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei;
se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano.
Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio.
In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso».
E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.
Oggi, Signore, con la Chiesa ti riconosciamo autore e Signore di tutte le cose, del cielo e della terra e di tutte
le meraviglie che vi sono racchiuse (cfr. Antifona d’ingresso, Est. 13, 9.10-11).
Tu Signore hai chiamato tutto all’esistenza, ma hai scelto di fare l’uomo creandolo maschio e femmina a tua
immagine. Lo hai creato, lo hai formato come un artigiano, perché ai tuoi occhi ha un valore immenso. Gli
hai persino consegnato il potere di imporre un nome ad ogni cosa per dominarlo, ma tu volevi che trovasse
un aiuto che gli corrispondesse. “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli
corrisponda” (Gn. 2, 18).
È come se tu dicessi: voglio che si veda, si conosca, si scopra nella verità di quello che io l’ho fatto.
Questa era infatti la tua intenzione, il tuo progetto: per essere a tua immagine, l’uomo doveva essere un
“essere in relazione”.
Ecco allora la necessità di un aiuto simile: qualcuno che gli potesse stare di fronte, qualcuno che gli
permettesse di dare un nome a sé stesso, di chiamarsi, di fare esperienza di sé.
Solo l’esperienza permette di dare un nome alle cose, e noi non siamo solo il frutto delle nostre esperienze,
ma siamo l’esercizio delle nostre relazioni.
La donna è così colei che può stare di fronte all’uomo per farlo nascere alla carne e alla parola. Questo è
vero per l’uomo, ma lo è anche per la donna.
La cosa grandiosa però ce la riveli Signore attraverso san Paolo che alla comunità di Efeso ha detto: “Per
questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne.
Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (Ef. 5, 31-32).
È quanto ci dici per ben due volte oggi: “per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua
moglie, e i due saranno un’unica carne” (Gn. 2, 24); “per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si
unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne” (Mc. 10,
7-8).
Io lo dico in riferimento a Cristo e la Chiesa.
Questo è il motivo per cui ci puoi parlare di ripudio e di accoglienza.
Questo è il motivo per cui il “lasciare il padre per unirsi a sua moglie” può stare accanto al “lasciare che i
bambini vengano a tuo figlio”.
Questo è il motivo per cui alla realtà apparentemente terrena dell’appartenenza reciproca dell’uomo e
della donna accosti l’appartenenza al tuo regno.
Tutto questo ci parla di te, che in Cristo ti sei unito indissolubilmente all’umanità tutta, tanto che egli “fatto
di poco meno degli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto,
perché per la grazia di Dio egli sperimentasse la morte a vantaggio di tutti” (Eb. 2,9).
Così tu stai di fronte a ciascuno di noi nel tuo Figlio per insegnarci a conoscerti e a conoscerci, a chiamare te
e noi per nome.
Infatti “in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv. 1,1), ma “il Verbo si
fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv. 1,14). Non solo, ma “egli, pur essendo nella
condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una
condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil. 2,6-7).
Se ci amiamo a vicenda, tu sei in noi (cfr. versetto all’alleluia).
È l’unione di vita con te che ci riporta alla santità delle origini (cfr. colletta per la XXVII domenica
anno B), che ci rende come quei bambini a cui appartiene il Regno. Il contrario è la durezza del
nostro cuore che si nasconde dietro a presunti permessi e norme, che, se non vissuti per tenerci
uniti a te, per farci oggetto dell’amore smisurato che tu hai per noi, possono solo rendere la vita, a
noi e agli altri, una vita infelice.
Il regno appartiene a quanti sono come quei bambini, perché capaci di lasciarsi amare.
L’amore a cui ci chiami ha due caratteristiche: è accogliente ed è donativo.
Cristo infatti ama la sua Chiesa tanto da dare la sua vita per lei. Cristo ama anche ciascuno di noi con
lo stesso amore donativo, in quanto siamo membra del suo Corpo che è la Chiesa. Cristo ama tutti, buoni e
cattivi, poiché è l’unico capace di accogliere fino in fondo il mistero della libertà umana e di comporne le
scelte, anche le più assurde, nell’oceano della sua misericordia.
Tu ci insegni anche che il tuo è un amore accogliente, è un amore viscerale come quello di una madre per il
suo bambino. È con questo amore che la Chiesa ama Cristo. È con questo amore che la sposa ama lo sposo.
È con questo amore che noi siamo chiamati ciascuno ad amare Cristo, il quale ama la sua Chiesa, la Sposa,
ciascuno di noi a tal punto da dare la vita.
Solo un cuore semplice, vero, innocente, capace di stupore, puro, come quello dei bambini può cogliere
questo amore e contraccambiarlo. Noi “grandi” ci siamo complicati il cuore, abbiamo permesso alla nostra
paura di indurirlo con calcoli e con la ricerca di un tornaconto.
Come i bambini, “accettiamo oggi di far credito sul futuro, senza garanzie a senza avalli. Scommettiamo
sull’inedito di un Dio che non invecchia. Rinunciamo alla pretesa di contenerne la fantasia.
Camminiamo in novità di vita verso quei cieli nuovi e quelle terre nuove” (cfr. don Tonino Bello, I piedi di
Giovanni). Serviamo, ascoltiamo, seguiamo, soprattutto speriamo, per poter investire tutto sulla fragilità di
un sogno, il tuo sogno Signore.
Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate