XXVI Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 21,28-32.

In quel tempo, disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna.
Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò.
Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò.
Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L’ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.
E’ venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli».

 

Prima di accostarci alle letture e soprattutto al Vangelo di questa Domenica, proviamo a fare risuonare in noi la
celebre frase di Sant’Agostino: Domine, noverim Te, noverim me (=Signore, che io conosca Te, che io conosca me).
Facciamo nostra la sua preghiera e riconosciamo che questo desiderio profondo del suo cuore abita anche nel nostro.
Può darsi che sorga spontaneo in noi qualche interrogativo: Signore, che cosa scopro di Te attraverso questa tua Parola?

Che cosa scopro di me?
Partiamo dal Vangelo: incontriamo Gesù che ci parla ancora in parabole ed usa un’immagine chiarissima per gli
Israeliti, quella di un padre. Quando c’erano in questione un padre e un figlio, nel mondo ebraico si capiva subito che si
stava parlando di Dio e di Israele. Qui, però, i figli sono due, per cui Dio è padre di entrambi ed Israele non è più figlio
unico…

Questo padre chiama i suoi figli a lavorare nella sua vigna, a collaborare al suo progetto di bene rappresentato dalla
vigna. Chiama tutti, ma non obbliga; è vero padre proprio perché dona ai suoi figli il dono più grande: la libertà di dire
di sì o di no, la libertà anche di sbagliare, di non accettare il suo disegno…pur sapendo che solo nella sua volontà ci è
dato di trovare la nostra gioia, quella che nessuno ci potrà togliere!
Dalla prima lettura, poi (Ez 18,25-28) apprendiamo che Dio è un padre retto e giusto, capace di guardare il nostro
cuore con occhi sempre nuovi, liberi da pregiudizi e pronti a scorgere in noi ogni piccolo segnale di conversione, senza
mai dare nulla per scontato.
Proprio contemplando il modo di essere e di agire di questo padre, ciascuno può scoprire anche qualcosa di sé, utile per
la propria vita. Basta soffermarsi sulle parole di invito che il Padre rivolge a tutti e a ciascuno, anche a me: «Figlio/a,
oggi va’ a lavorare nella vigna».

Ogni singolo termine usato ci svela grandi tesori. Ecco qualche spunto:
FIGLIO: sì, non siamo schiavi, né servi, ma figli amati di quel Dio che ci è Padre e che ci ama con cuore di madre,
come sottolineava bene il Beato Papa Giovanni Paolo I. Infatti, il termine greco qui usato, teknon, porta in sé il tocco di
un amore materno, in quanto significa “nato”. Figli amati, dunque, e resi degni di una grande libertà e responsabilità,
quella di dire di sì o di no al Padre.
OGGI: è l’eterno oggi della salvezza, che abbraccia tutti e ciascuno. Sì, è proprio oggi che il Signore ci chiama,
indipendentemente da ciò che è stato ieri; ed è oggi, non domani, che dobbiamo seguirlo…buttiamo via rimandi, ritardi
e dilazioni!
VA’: tu, non un altro! Non serve a niente e a nessuno stare lì a guardare cosa fanno e cosa non fanno gli altri. Il Signore
ci chiede di andare? Andiamo! Ci incoraggiano le parole di Don Primo Mazzolari: «Ci impegniamo noi e non gli altri.
[…] senza pretendere che altri s’impegni con noi o per suo conto[…] Il mondo si muove se noi ci muoviamo, si muta se
noi ci mutiamo, si fa nuovo se alcuno si fa nuova creatura […] L’ordine nuovo incomincia se alcuno si sforza di
divenire un uomo nuovo».

A LAVORARE: il Signore ci chiama al lavoro, invitandoci a collaborare con impegno e non senza fatica al suo disegno
di salvezza. Come benedettina, mi viene spontaneo riconoscere che veniamo mandati ad operare ben forniti di strumenti
e dei mezzi necessari: penso, ad esempio, ai numerosi strumenti delle buone opere elencati da San Benedetto nel IV
capitolo della sua Regola, nettare purissimo di Parola da credere e da vivere.
NELLA VIGNA: è il campo amato e custodito da Dio; lì si produce l’uva da cui si ricava il vino, simbolo di gioia. Non
dimentichiamo che il Signore stesso ci ha detto: Io sono la vite, voi i tralci. A noi non resta che guardare a Cristo, il
modello splendido e perfetto del Figlio Unigenito, l’unico che ha sempre detto di sì e che ha sempre fatto la volontà del
Padre, amando fino alla fine (cfr. Fil 2,1-11). Solo se rimarremo uniti a Lui come i tralci alla vite e se avremo i suoi
stessi sentimenti, potremo portare frutti di gioia per la Chiesa e per il mondo.

Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate