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XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

23 Ottobre 2018 by Manuela Brancatisano

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 10,35-45.

In quel tempo, si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo».
Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero:
«Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo».
E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete.
Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni.
Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere.
Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore,
e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti.
Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Oggi, Giacomo e Giovanni, i due figli di Zebedeo, accostano Gesù e gli presentano, senza
mezzi termini, una richiesta che sta loro molto a cuore: “Maestro, noi vogliamo che tu ci
faccia quello che chiederemo: concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno
alla tua sinistra”.
Una domanda che crea una forte stonatura rispetto all’annuncio che Gesù ha fatto della sua
passione e della sua morte. Una domanda che attesta anche quanto sia difficile per i
discepoli capire Gesù, il vero Messia.
Giacomo e Giovanni, come tutti gli altri discepoli, hanno una visione gerarchizzata della
gloria del messia e, secondo loro, ci sono dei “posti d’onore”. Questo è il motivo per cui
cercano di farsi avanti, anticipando i possibili concorrenti, per poter sedere nella sua gloria
uno alla sua destra e uno alla sua sinistra.
A più riprese Gesù aveva cercato di spiegare ai discepoli le vere qualità del Messia. Ancora
oggi il Maestro ci prova, usando le immagini del calice e del battesimo: “Potete bere il calice
che io bevo e ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?”. Il calice è immagine di
qualcosa di difficile da “mandar giù”. Il battesimo invece è immagine del tuffo, del salto, con i
rischi che questo comporta. Insomma Gesù chiede: potete come me immergervi in queste
acque, cioè condividere la mia morte?
Con la stessa incoscienza della loro domanda, Giacomo e Giovanni rispondono: lo
possiamo! Gesù sembra acconsentire a questa partecipazione: “il calice che io bevo. Anche
voi lo berrete e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete”, ma poi soggiunge che
l’assegnazione dei posti non rientra nelle sue prerogative ma dipende solo dal Padre,
rifiutando così di condividere il concetto di gloria gerarchizzata e offrendo una splendida
lezione di umiltà. E poiché la reazione indignata dei dieci dice che anch’essi condividono lo
stesso desiderio di gloria e di potere, Gesù riprende il suo insegnamento con un paragone
tratto dalla vita politica in cui i “capi” dominano e i “grandi” esercitavano il potere,
assicurando che “fra voi però non è così”. Non si tratta di una legge fra le altre, ma della
struttura costitutiva della comunità stessa: in essa ognuno è servo di tutti.
Si direbbe proprio che Marco provi una profonda repulsione per tutto ciò che ricorda
l’ambizione fra i cristiani, i corteggiamenti verso chi sta in alto, la ricerca del potere sugli
altri… Per tutti, la regola è “servire” e, servire tutti senza eccezioni. Il motivo che sta alla
base di questo servire? Semplicissimo: il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito,
ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Nella comunità cristiana l’umile
servizio ai fratelli prende tutto il suo valore e tutta la sua grandezza per il fatto che è una
partecipazione alla passione di Cristo, che non è tanto in primo luogo un soffrire, ma un
sentire! Noi, membra di Cristo, quali dovremmo essere, ogni volta che concepiamo sul suo
esempio il nostro compito come un servizio, prolunghiamo la passione del nostro Capo e la
sua efficacia sovrana per la salvezza del mondo.
Questa affermazione di Cristo che si definisce servo, chiude opportunamente la sezione
scandita dai tre annunci della passione. Nel primo annuncio ci invitava a prendere la croce,
a rischiare la vita per il vangelo; nella seconda ci ha chiesto uno spirito di servizio a favore
della vita fraterna. Ora porta in primo piano il motivo di tutto: seguire il Cristo-servo, lui che
serve fino al dono della vita per la moltitudine. Gesù è infatti il Figlio totalmente dedito alla

volontà del Padre, il quale offre la propria vita per riscattare i fratelli dal potere del peccato e
di satana e conferire loro la dignità di figli di Dio (cfr. Is 53,2a.3a.10-11). Gesù è il servo
rigettato dagli uomini al punto di essere oggetto del loro disprezzo, che diviene il principio
della loro giustificazione, di cui ci parla Isaia: il servo offre sé stesso a Dio in un atto di
perfetta obbedienza che ripara la disobbedienza degli uomini facendoli passare dalla
lontananza e dall’inimicizia alla comunione con il Signore.
Così Gesù, ora nella gloria del Padre, ci ha aperto la strada che conduce a Dio. La
contemplazione di questo mistero di grazia sfocia nell’esortazione a rimanere saldi nella
fede. A questo ci invita l’autore della lettera agli Ebrei, dopo averci detto: “infatti non
abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli
stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato”. Il sacerdozio di
Gesù è un sacerdozio misericordioso, capace di compatire le nostre miserie. E questo
perché lui è stato provato in ogni cosa. Da qui il motivo della fiducia e della speranza dei i
discepoli e della Chiesa.
L’autentica solidarietà di Gesù con i peccatori non si esprime nel farsi complice delle loro
colpe ma nel portare con essi tutte le conseguenze del loro peccato. In definitiva questo è
ciò che Gesù intende con “fra voi però non è così”.
Fa o Signore che tra noi sia davvero così!

Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate

Posted in: Vangelo Tag: monache benedettine grandate, vangelo

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