Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 8,27-35.
Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti».
Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo».
E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.
E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare.
Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo.
Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà».
Con il brano che la liturgia oggi ci propone ci troviamo al centro del Vangelo di Marco, siamo infatti
al cap. 8. Siamo anche al centro del suo messaggio. Sappiamo infatti che la domanda da cui è
percorso tutto il secondo Vangelo è : “chi è Gesù?”. Nei capitoli precedenti al brano di oggi,
soltanto i demoni arrivano a riconoscere la messianicità di Gesù, e la gridano quando Gesù li vuol
scacciare, quasi a voler boicottare l’umiltà di Dio che sta agendo nella storia attraverso
l’incarnazione.
Qui, finalmente è un discepolo, è Pietro che arriva a dare la risposta giusta: “Tu sei il Cristo!”.
Verrebbe da pensare che Gesù dovrebbe essere contento: finalmente dopo tante istruzioni ai suoi
discepoli, hanno capito qualcosa! Invece no.
Quel che Pietro aggiunge alla sua professione di fede gli guadagna un bel rimprovero: “Va dietro a
me, Satana!”.
L’Evangelista Marco offre una bella inquadratura comunitaria dell’episodio. Nel Vangelo scritto da
lui la comunità dei Dodici risulta molto curata da Gesù, che è un buon maestro e ci tiene alla
formazione dei suoi. Però, alla fine, risulta che è una comunità di gente che segue, ma che non
capisce.
Gesù però continua a dire quel che deve dire, come nell’episodio oggi narrato. Il vangelo di Marco,
che solitamente è essenziale nei suoi racconti, qui allinea una serie di particolari che, uno dietro
l’altro, creano una sottolineatura importante: “cominciò a insegnare loro (cioè ai dodici) che il Figlio
dell’Uomo doveva soffrire molto […]. Faceva loro questo discorso apertamente”. Gesù parlava
apertamente, Pietro invece “lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo”. Lo prende in disparte
come per dirgli: “ma pensa un momento per te. Non vedi che ti stai facendo una brutta immagine?
Ti ho appena riconosciuto come Messia davanti a tutti. E tu, và che Messia! Ti butti giù così
dicendo che devi essere riprovato dagli anziani ecc.. bella reputazione…”
Ma Gesù, si volta e: “guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro.”
Gesù guarda i discepoli, perché è a loro che deve pensare, non a se stesso. E’ a loro, alla sua
comunità che deve insegnare come la pensa Dio. Dio non la pensa come Pietro. Dio non pensa a
sé, Dio non può pensare per se stesso. Non sarebbe il Sio Padre di Gesù Cristo.
La salvezza è pensarla come Dio, cioè non pensare a sé: “chi vuole salvare la propria vita, la
perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. Questo deve dirlo
a tutti, perché è venuto per salvare tutti, perciò non lo dice solo ai Dodici, ma “convocata la folla
insieme ai suoi discepoli, disse loro…”.
Così, il brano che si era aperto con una panoramica sulla vastità della gente “La gente chi dice che
io sia?” e si era un po’ raggomitolato con l’obiettivo puntato su Pietro che tira in disparte Gesù, si
spalanca di nuovo alla folla. La folla deve sapere chi sono io – sembra dire Gesù – non da un titolo
bell’e fatto, ma da quello che faccio: non pensare a me stesso, ma andare liberamente verso la
croce per donare la mia vita per tutti.
Questo taglio ci aiuta a vedere la chiave di interpretazione anche della prima lettura. Essa è
costituita da uno dei Canti del Servo di Jahwè. Forse questi cantici che Gesù ha trovato nella
Scrittura, e che come figlio del popolo di Israele avrà ascoltato tante e tante volte, sono stati lo
specchio nel quale ha potuto vedere il modello del suo essere Messia.
– Il primo Canto presenta il Messia inviato a portare il lieto annuncio (Is 42,1-7).
– Il secondo Canto presenta il Servo chiamato a porre tutta la sua fiducia in Dio (Is 49,1-9).
– Nel terzo è presentato: il Servo perseguitato (Is 50,4-11).
– Ma questa sua sofferenza è per la salvezza di molti (Is 52,13 – 53,12).
La prima lettura di questa domenica è tratta dal terzo Canto. E’ stata scelta per sottolineare la
fedeltà di Gesù al Padre, nonostante tutto.
La prospettiva del “vivere per gli altri”, che è in fondo il pensiero di Dio manifestatoci in Gesù, è il
messaggio che possiamo raccogliere da questa liturgia.
Anche la lettera di Giacomo di cui troviamo un tratto celeberrimo nella Seconda lettura, invita a
sostanziare, vivificare la fede nel Figlio di Dio con la carità concreta: “Mostrami la tua fede senza le
opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”
Se Gesù ha accettato e vissuto la direzione che la sua vita aveva preso: verso la morte, l’ha fatto
innanzitutto per mostrare il vero volto del Padre. Dio non è una divinità qualsiasi, ma un Dio che
ama l’uomo, tanto da lasciar perdere le sue prerogative divine per venire a condividere la nostra
condizione umana: fino alla sofferenza e fino alla morte. Allora anche il rinnegare noi stessi, “Se
qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” non è più
soltanto un “purtroppo”; un “se volete è così, se non è ancora così”, ma diventa un modo di
diventare conformi a Dio nell’amore, a quel Dio che per primo “ha perso se stesso” per noi.
Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate