XXI Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 24,42-51
In quel tempo, Gesù passava per città e villaggi, insegnando, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Rispose:
«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete.
Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze.
Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità!
Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio.
Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi».
[Fonte: vangelodelgiorno.org]

Per il commento alla liturgia di questa settimana vorremmo usare una lente di ingrandimento per due termini: lotta e porta stretta. Il gesuita Silvano Fausti ne fa un commento molto denso e pieno di stimoli per la vita da risorti.

“ Il capitolo 13 di Luca ci insegna a vivere nel tempo la nostra figliolanza con il Padre: come il dono è il senso di tutto ciò che occupa lo spazio, così la conversione è il senso di ogni frazione di tempo. Il presente, unico tempo che ancora c’è e già non è scomparso, è l’occasione per convertirci. Ciò non significa diventare più bravi, ma volgerci dalla nostra miseria alla sua misericordia, dal male che facciamo al bene che lui ci vuole, dall’autogiustificazione all’accettazione della sua grazia, come fonte nuova di vita.  Così viviamo in continua gioia e rendimento di grazie: siamo entrati nel sabato! Questo è già all’opera nel mondo e si celebra nell’eucaristia, il banchetto di gioia dei salvati. Il problema è come entrare nella sala dove si mangia il pane del Regno. Questo brano parla della lotta per entrarci. (…)

La porta è Gesù: attraverso di lui tutti gli uomini sono salvati, perché il suo cammino verso Gerusalemme va incontro a ogni fuggiasco. Ognuno può entrare, anche il disperato, l’immondo e l’incurabile. Unico biglietto d’ingresso è il bisogno. Resta fuori solo chi “sta bene”. La falsa sicurezza e la presunta giustizia sono l’unico impedimento. Per entrarvi basta riconoscersi peccatori davanti al perdono di Dio (18,9ss): nessuno si salva per propri meriti, ma tutti siamo salvati. Il tempo presente è l’anno di grazia che ci è concesso per convertirci dalla nostra (in) giustizia alla sua grazia. La porta è dichiarata stretta perché l’io e le sue presunzioni non vi passano. Devono morire fuori. (…) La porta, stretta come la cruna di un ago per chi presume dei suoi beni (Lc 18,25), sarà aperta per chi riconosce la propria cecità (18,35). (…)

lottate : la salvezza è un dono. Costa solo la fatica di aprire il cuore e la mano per accoglierlo. Ma è una grande lotta, perché il cuore è duro e la mano rattrappita (Lc 6,6ss).  La lotta è paradossalmente la contemplazione (Rm 15,30; Col 4,12; Gn 32,23ss): bussare nella notte per ottenere il pane, pregare con insistenza per ricevere lo Spirito (Lc 11,9). (…) Gesù stesso lottò nella preghiera fino a sudar sangue (Lc 22,44). Il dono non toglie l’iniziativa. E’ anzi un pegno che impegna. Il suo costo è la vita stessa. Inoltre bisogna fare come se tutto dipendesse da noi, sapendo che tutto dipende da Dio. In questa ottica si eliminano la pusillanimità e l’ansietà, i due sentimenti che in ogni combattimento fanno perdere in anticipo.

“porta stretta”: questa porta larghissima, che è la misericordia di Dio, qui è chiamata stretta. Infatti una cosa costa meno a pagarla che a riceverla in dono. Inoltre ricevere la salvezza significa ammettere di essere perduti: è la morte di ogni presunzione. La salvezza ha come porta l’umiltà; va lasciato fuori il protagonismo dell’uomo. Convertirsi è accettare di vivere della sua misericordia. E’ la morte dell’io e della sua perizia, per vivere di Dio e della sua grazia. Per questo la più grande conversione è riconoscere il proprio peccato: stare all’inferno, senza disperare (Silvano del Monte Athos). Questa è la porta più stretta che ci sia per il giusto: se il peccatore ci scivola dentro naturalmente, il giusto, più si accanisce ad accrescere il suo bagaglio di giustizia, più ne è impedito.

(…) L’ultimo diviene il primo: è oggettivamente più vicino a colui che si è perduto per tutti; inoltre, riconoscendosi peccatore, è il primo a convertirsi. Per questo Gesù è venuto a chiamare non i giusti, ma i peccatori a conversione (5,32). I giusti dovranno prima scoprire il proprio peccato. E’ una porta stretta da passare per loro, intransitabile se non lasciano fuori il gonfiore della loro giustizia. E’ difficile per i giusti ammettere che l’unica differenza tra loro e i peccatori è la presunzione!”

 

Ed ecco  che ci ritroveremo a giungere tutti insieme: chi da oriente o da occidente, chi da settentrione o da mezzogiorno per stare a mensa nel Regno di Dio.
Monache Benedettine Monastero SS. Salvatore Grandate