Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,60-69.
In quel tempo, molti tra i discepoli di Gesù, dissero: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?».
Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: «Questo vi scandalizza?
E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?
E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita.
Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito.
E continuò: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio».
Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?».
Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna;
noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
A Sichem Giosuè rinnova l’alleanza mentre il popolo sta per mettere piede nella terra
delle promesse. Nel lungo dialogo tra Giosuè e il popolo, per ben quattordici volte
risuona il verbo “servire”. Nel linguaggio biblico significa aderire liberamente e
gioiosamente a vivere in comunione con il Signore, la cui presenza libera e non opprime
come gli dei dell’Egitto.
Paolo, riprende, nella cornice della famiglia, il “mistero grande” della reciproca
dedizione, per cui l’essere “sottomessi gli uni agli altri” è un modo per riconoscere
quanto ci prendiamo cura gli uni degli altri e quanto ci sta a cuore la relazione. In
questo mistero di relazione coinvolgente e responsabile, il discorso di Gesù sul pane
che permette la vita introduce con limpida esigenza nel mistero di Cristo. Certo è una
“parola dura”, perché è una parola vera che esige una presa di posizione e una risposta
altrettanto limpida e vera alla libertà che abbiamo di lasciarci o meno coinvolgere in
questo spazio nuovo di promessa: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita
eterna”.
Il discorso sul “pane di vita” del sesto capitolo di S .Giovanni che stiamo ascoltando da
qualche domenica è molto denso, a tratti di difficile comprensione e, alcune sue parti,
come ad esempio “mangiate la mia carne e bevete il mio sangue”, si prestano a
interpretazioni fuorvianti come il “cannibalismo” di cui i primi cristiani sono stati
accusati. Oggi lo leggiamo alla luce dell’ Eucaristia e ci sembra che è “tutto logico”
quello che dice Gesù, ma allora no e, per il senso pieno dell’Eucaristia, non può essere
“ovviamente logico” nemmeno per noi.
Riporto alcune parti del lungo commento, degno di lettura completa, di P. Silvano
Fausti: “ La resistenza dei discepoli è la stessa del lettore davanti a quanto Gesù ha
appena detto, la stessa che prova davanti all’eucaristia chiunque comprende ciò che
celebra. (…) Invece di andare dietro a Gesù, si tirano indietro da lui. Invertono la
direzione della loro vita e non camminano più “con lui”: si allontanano dalla compagnia
del Figlio, abbandonano la propria verità e tornano nelle tenebre. Questa crisi colse
molti di quelli che all’inizio lo seguirono con entusiasmo fino a quando videro che non
realizzava le loro attese. La stessa crisi, anche inavvertitamente, prende ogni
discepolo che non vive ciò che celebra nell’eucaristia. L’eucaristia infatti può essere
un puro far memoria del Signore senza fare ciò che lui ha fatto. Per questo nell’ultima
cena Giovanni non racconterà l’istituzione dell’eucaristia, bensì la lavanda dei piedi, per
mostrare cosa esse comporta per la vita di ogni giorno.” 1
1 SILVANO FAUSTI, Una comunità legge il vangelo di Giovanni, EDB, 2002, 160 ss, vol.I