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XIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

12 Agosto 2018 by Manuela Brancatisano

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,41-51. 
In quel tempo, i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo».
E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?».
Gesù rispose: «Non mormorate tra di voi.
Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me.
Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre.
In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita.
I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti;
questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

 

Non sono capace oggi di condividere altro che l’eco che la Parola fa risuonare nel mio cuore, il mio
dispiacere e la mia speranza…
Beato l’uomo che in te si rifugia, Signore.
Sì, ma l’unico grido che sale dal mio cuore è quello che oggi è sulla bocca di Elia: «Ora basta, Signore!
Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri» (1 Re, 19, 4). Sì, lo so Signore che
quello che conta è lasciarsi condurre da te, farci imitatori tuoi, identificarci piano piano al tuo Figlio,
ma «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri».
San Paolo a gran voce ci dice di non rattristare lo Spirito che abita in noi, ci sprona a vivere come
imitatori del tuo Figlio per divenire “sacrificio di soave odore” (Ef. 5, 2). Per divenire…
Ma non sono capace, non sono capace di essere benevola verso chi mi vive accanto, di essere
misericordiosa, di perdonare come tu o Padre perdoni me prima ancora che io venga a chiederti
scusa (cfr. Ef.4,32).
Se però mi dici che così rattristo lo Spirito, allora vuol dire che in forza del tuo Figlio anche io posso
farmi suo imitatore quale figlia (cfr. Ef. 5,1). È così?
Lo so che non ti conosco, perché se così fosse il mio cuore sarebbe molto più grande, invece lo
scopro sempre più piccolo e meschino, rinchiuso su di sé, preoccupato a fare calcoli e confronti, a
cercare il proprio torna conto…
Nessuno può venire al tuo Figlio se non sei tu Padre ad attirarlo, se non sei tu che istruisci…
Ma io non sono capace di ascoltare altra voce al di fuori della mia. Ecco che posso solo gridarti: «Ora
basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri».
Ma tu Padre non ti dimentichi e, come hai fatto per Elia, così fai anche per me oggi, anzi ben di più,
tu ti fai cibo per me, tu scegli di divenire mio nutrimento nel tuo Figlio fatto carne…
Con speranza desidero imprimere nel mio cuore la voce del tuo Figlio che dice: “Io sono il pane della
vita…questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo,
disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne
per la vita del mondo” (Gv. 6, 48-51).
Se è vero che vivere significa imparare, che imparare è un cammino, allora ti chiedo Padre
sostienimi, non abbandonarmi ai miei fallimenti… non smettere di sperare anche in me… prima o poi
inizierò a crescere nella figliolanza e nella fraternità. Vero che prima o poi pure io smetterò di far
paura e di non essere capace di aiutare chi mi sta accanto?
Dillo al mio cuore che sono chiamata a vivere l’oggi e a non disperare se fallisco, che sono chiamata a
vivere l’oggi sperando di poter ricominciare domani, di poterci riprovare. Un giorno anche dalla mia
vita si potrà gustare e vedere quanto sei buono (cfr. sal. 33), vero?
A me non è dato vedere con gli occhi, sono chiamata a credere, a credere in te che scegli di nutrirmi
con il corpo del tuo Figlio per farmi uno con lui, come tu e lui siete uno.
È vero che ti odo dirmi: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino» (1 Re, 19,7)? È
vero che, non solo non sarà confuso il mio volto, se ti guardo, se tengo gli occhi del cuore fissi sul tuo
Figlio (cfr. sal.33), ma che pure io potrò “con la forza di quel cibo, che è il tuo stesso Figlio,
camminare per quaranta giorni e quaranta notti fino a te” (cfr. 1 Re, 19, 8).
Quaranta giorni e quaranta notti, tutta la vita che mi doni quaggiù… camminare dietro al tuo Figlio
per diventare figlia, sorella e magari essere pure io feconda nell’amore. Questo ti chiedo o Padre.

 

Monache Benedettina San Salvatore Grandate

Posted in: Vangelo Tag: monache benedettine grandate, vangelo

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