Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 8,1-11.
Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.
Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo,
gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.
Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?».
Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.
E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei».
E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.
Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.
Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?».
Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch’io ti condanno; và e d’ora in poi non peccare più».
Siamo all’ultima settimana del cammino quaresimale. Se si eccettuano le prime due domeniche
“tradizionali” di Quaresima: quella delle tentazioni e quella della trasfigurazione, le altre tre
domeniche di questo ciclo C) sono come una catechesi articolata che svolge sotto vari punti di
vista il tema peccato-conversione-perdono.
Nella domenica Terza (della “torre di Siloe” e del “fico sterile”) la Parola di Dio ci ha fatto riflettere
che il tempo e la pazienza di Dio sono uno spazio che ci è dato per far maturare la nostra
conversione. Nella domenica scorsa la parabola del “padre misericordioso” ci ha dato l’occasione
di conoscere l’amore di Dio che è prima del nostro peccato e non viene meno neppure dopo il
nostro peccato.
In questa domenica siamo ancora di fronte ad una situazione di peccato. Si potrebbe vedere come
l’illustrazione della verità che il peccato ha un suo peso, ha delle conseguenze, ma di fronte al peso
del male, la posizione di Dio e quella dell’uomo sono diverse. Vediamo innanzitutto il Vangelo.
Non è di Luca, ma di Giovanni. Gli esegeti dicono che probabilmente nel vangelo di Giovanni
questo brano è capitato per sbaglio, perché il colore e il sapore che ha sono quelli del vangelo di
Luca.
Da come è presentato il fatto, sembra che l’imputata sia la donna, in realtà lei è solo un’esca
messa lì per poter fare il processo a Gesù, perché, appunto, la sua posizione di fronte alla Legge, al
peccato e ai peccatori è diversa da quella comune.
Gesù dice di venire da Dio, però non rispetta la legge del sabato. Dice che non è venuto per abolire
la Legge, ma per portarla a compimento, eppure va a mangiare con i peccatori che della Legge “se
ne fanno un baffo”.
La proposta del caso che viene fatta a Gesù è chiarissima: “Mosé, nella Legge, ci ha comandato di
di lapidare donne come questa.” (Gv 8,5). E’ un ordine. E’ scritto nella Legge. Vediamo con quale
coraggio ti poni sopra l’autorità di Mosé.
Bisogna chiedersi però: che cos’era la Legge per Israele? Per averne un’idea bisognerebbe
richiamare alla mente alcuni brani del libro del Deuteronomio. Lì si parla della grande pazienza che
Dio ha avuto con il popolo durante il cammino nel deserto e si dice, ad ogni passo, che la Legge è
stata data per il bene e per la felicità del popolo. Solo perché la Legge e l’Alleanza con Dio sono la
vita del popolo, si ordina – quando qualcuno la trasgredisce gravemente e rischia di trascinare il
resto del popolo lontano da Dio – di lapidarlo. Il Deuteronomio aggiunge: “Così estirperai il male in
mezzo a te” (Dt 17,7). Questo perché il popolo è considerato come un corpo solo e chi fa il male è
come una cellula cancerogena. Si ordina di tagliarla per evitare che il male si diffonda.
Questo è infatti il principio della giustizia umana: difendersi dal male aggredendolo mentre è
limitato.
La punizione prevista dalla Legge, doveva servire anche a questo: a rendere visibile che il rinnegare
Dio e la sua alleanza è tagliarsi fuori dalla Vita, è morire.
Gli scribi e i farisei, portando la donna davanti a Gesù, si aggrappano a questo principio e gli
tendono una trappola. Gesù però, che guarda al male, ma soprattutto a chi lo compie, con gli occhi
di Dio, restando in silenzio fa capire che, alla logica ineccepibile dei farisei, manca una cosa
fondamentale. L’alleanza di Dio con Israele stava in piedi come legge di popolo perché Dio li aveva
scelti e costituiti come popolo, come un corpo solo, come dice la prima Lettura: “Il popolo che io
ho plasmato per me, celebrerà le mie lodi” (Is 43,21).
Ciascuno doveva sentirsi responsabile dell’altro. Solo per amore della vita del popolo bisognava
denunciare e punire il male. Gli scribi e i farisei quindi erano fuori dal senso vero della Legge,
perché per loro quella donna era solo un caso, un esemplare di una brutta specie di donne e non
invece una figlia del loro popolo.
Gesù, scrivendo col dito per terra, li fa aspettare, tentando di indurli a riflettere, perché la loro
logica non era poi così logica. Propone quindi una soluzione che è rispettosa sia dello spirito che
della lettera della Legge. Il libro del Deuteronomio prevedeva che quando ci fosse stato qualcuno
da lapidare, fossero i testimoni, quelli che avevano visto il fatto, a scagliare per primi la pietra.
Per poter proteggere il popolo tagliando via un membro malato, tu devi essere un membro sano.
Per poter lapidare in nome della fedeltà all’alleanza, tu devi essere fedele alla Legge e all’alleanza,
tanto da non averla mai trasgredita. Dunque: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra
contro di lei. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno cominciando dai più anziani.” Così Gesù
ha potuto mettere in pratica il cuore dell’alleanza che è l’amore e ha scelto l’altra possibilità,
quella di non tagliare via il membro malato, ma di guarirlo, anzi, di riplasmarlo con il perdono.
Questa è una cosa grande. E’ una cosa nuova, come l’atto di creare (“Ecco, io faccio una cosa
nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” prima Lettura)
Non accomodo una cosa rotta, ma la riplasmo. Perdonare e far tornare il popolo dall’esilio di
Babilonia è stato come quando l’aveva creato come popolo nel primo esodo dall’Egitto.
Chiediamo al Signore di poter fare questa esperienza ogni giorno. Che quando ci perdiamo nei
ragionamenti, quando, davanti alle cose che non vanno per il verso giusto ci perdiamo nelle
vedute umane, ecco: che possiamo essere ritrovati in Cristo, come dice la seconda Lettura:
“Avendo come giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo,
la giustizia che viene, da Dio basata sulla fede” (Fil 4,9), la quale non condanna ma giustifica, cioè
ama e guarisce.
Allora nei confronti di Dio, si rinasce con l’animo di figli e non di servi, e nei confronti degli altri, i
sassi cadono dalle mani.
Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate