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V Domenica del Tempo di Pasqua

19 Maggio 2019 by Manuela Brancatisano

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 13,31-33a.34-35.

Quando Giuda fu uscito, Gesù disse : «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui.
Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho gia detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire.
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».

La Parola di Dio di questa domenica ci apre davanti la perla preziosa del comandamento nuovo che Gesù
ha dato ai suoi. Che sia un comandamento nuovo lo si deduce dal fatto che ha una unità di misura diversa
da quello antico. L’antico diceva di amare gli altri come se stessi. Il nuovo dice di amarci come Gesù ci ha
amati.
Anche se il brano del Vangelo di oggi è corto, però è tagliato in modo da farci vedere qualcosa di quel
come Gesù ci ha amati. Infatti, dal primo versetto comprendiamo che ci si trova all’ultima cena e Giuda è
appena uscito per andare a portare a compimento il suo tradimento. Ed era notte, dice Giovanni. Proprio
in questa circostanza Gesù dice: Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato. Bisognerebbe approfondire il
fatto che Giovanni usa spesso le parole con un doppio significato, quindi anche “essere stato glorificato”
significa più realtà, ma non c’è spazio in questo ambito per soffermarsi.
Proprio l’aver promulgato il comandamento nuovo in un contesto di tradimento ci lascia intendere che il
come Gesù ci ha amati non è al latte e miele. Il Salmo parlando dei fratelli che stanno insieme usa delle
immagini bellissime: come rugiada che scende dall’Ermon, come olio profumato sul capo, che scende sulla
barba di Aronne.
Il come del nuovo comandamento è diverso: come Gesù che nella notte in cui veniva tradito, prese del
pane e lo diede, e diede se stesso fino alla morte e alla morte di croce. Il nostro amore fraterno dovrebbe
essere quindi fino ad essere disposti a morire l’uno per l’altro. Qui la cosa si fa seria… Un amore così, senza
dubbio ci deve essere donato da Dio, perché non è produzione nostra. Anche Gesù riconosceva che l’amore
col quale ci ha amati veniva dall’alto: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi” (Gv 15,9).
Per riconoscere però che l’amore di Dio ci precede e per mare il fratello fino a riconoscerlo “osso dalle mie
ossa, carne dalla mia carne” (Gen 2,23 ) e dare la vita per lui, occorre anche la fede (non basta il
sentimento).
Un tempo, prima che i sacramenti fossero riconosciuti e stabiliti in quei sette che conosciamo, si discuteva
se annoverare come sacramento anche la lavanda dei piedi (perché come Gesù aveva detto: “fate questo in
memoria di me” riguardo al pane e al vino, aveva detto anche: “Voi mi chiamate il maestro e il signore, e
dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il signore e il maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete
lavare i piedi gli uni agli altri” (Gv 13,13-14).
Si discuteva un tempo se includere tra i sacramenti anche il “comandamento nuovo”. Forse, se per
sacramenti si intendono quelle realtà che attraverso segni visibili operano con la fede realtà invisibili, si
può dire che il comandamento nuovo “funziona” come un sacramento.
L’enciclica Deus Caritas est dice che al duplice comandamento di amare Dio e di amare il prossimo di solito
si fanno delle obiezioni. Una di queste può essere: come si fa a comandare di amare? L’amore è un
sentimento e non può essere comandato. Papa Benedetto in quella enciclica rispondeva: “Dio non ci ordina
un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore
e da questo ‘prima’ di Dio può spuntare, come risposta l’amore anche in noi. Nello sviluppo di questo
incontro si rivela con chiarezza che l’amore non è soltanto un sentimento. I sentimenti vanno e vengono. Il
sentimento può essere una meravigliosa scintilla iniziale, ma non è la totalità dell’amore [ …]. E’ proprio
della maturità dell’amore coinvolgere l’uomo nella sua interezza” (Deus caritas est n. 16) e poi spiega che
questa interezza coinvolge anche l’intelligenza e la volontà.

E’ per questo che occorre anche la fede perché, non sempre è cosi’ lampante vedere e sperimentare
l’amore di Dio. Ci sono dei momenti in cui si percepisce di essere sommersi da questo amore, si naviga, ma
altri in cui è più difficile sentirlo e, proprio in questi momenti se si pensa di poter sentire l’amore per il
prossimo, non si sente proprio niente.
Anzi, quando sul piano del sentimento verso il fratello si percepisce solo avversione, voglia di girare al
largo… , se l’amore non è solo sentimento e, se dove non giunge il sentimento arriva la fede, questi sono i
momenti in cui il Signore chiede in me di poter morire per l’altro.
Quando si dice di essere disposti a dare la vita per l’altro, uno pensa: devo rischiare la vita andando nel
fuoco se l’altro è in un incendio, o dare un occhio, un rene, perché l’altro possa vivere, invece in alcuni casi,
dare la vita non è niente di tutto questo. Piuttosto (lo si sperimenta soprattutto nella vita in comunità)
quando l’altro non molla in una situazione e io ho già ceduto e una, e due, e tre volte… adesso potrebbe
fare un passo indietro l’altro, … invece no… devo ancora far marcia indietro io, solo perché Cristo ha vinto
perdendo… questo, umanamente, è sperimentare la morte, soprattutto se in quel momento la
consapevolezza dell’essere amati da Dio è una consapevolezza di fede più che un sentimento.
Gesù dice che solo da un amore reciproco così, che non fa marcia indietro nemmeno quando “è notte”, solo
da questo potranno capire che siamo suoi discepoli.
Cioè, mi par di capire che, solo da queste tracce si può risalire a Dio che è Amore.
A proposito di tracce, c’è un bel racconto: “Parecchi anni fa uno scienziato miscredente, attraversando il
deserto con alcuni arabi come guide, osservò che al tramonto del sole essi stendevano un tappeto per terra
e pregavano. Chiese ad uno di loro:
– Che cosa fai?
– Prego – rispose il figlio del deserto.
– Tu preghi? E chi preghi?
– Allah, Dio.
Lo scienziato sorrise. Poi con tono saputo: – Hai visto qualche volta Dio?
– No!
– L’hai toccato con le tue mani? L’hai sentito con le tue orecchie?
– No!
– E allora, sei matto, perché credi ad un Dio che non hai mai visto, mai sentito, mai toccato!
L’arabo per il momento non seppe rispondere.
L’indomani, prima del levar del sole, lo scienziato, uscendo dalla sua tenda, fece notare alla sua guida:
– Qui certamente è passato un cammello!
Un raggio di luce brillò negli occhi del figlio del deserto, che chiese allo scienziato:
– Hai visto il cammello?
– No!
– L’hai toccato con le tue mani?
– No!
– Allora – concluse l’arabo – tu sei matto, credendo che sia passato di qui un cammello che non hai visto, né
sentito, né toccato.
– Oh! – Replicò l’uomo di scienza – Ma si vedono bene le sue orme sulla sabbia!
In quel momento il sole saliva all’orizzonte con tutto lo splendore dei colori d’oriente. Con un gesto solenne
e ampio l’arabo mostrò l’astro splendente e concluse:
– Guarda le tracce del Creatore! Sappi dunque che Dio c’é e ci ama! (L. Vigna)
Può darsi anche che uno non veda le tracce, o da quelle non sappia risalire fino a Dio, comunque Gesù ci
dice che solo da questa strada, dell’amarci come Lui ci ha amati, gli uomini potranno capire che Dio ha
camminato sulla terra e ci ha amati.

Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate

Posted in: Vangelo Tag: monache bendettine grandate

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