Solennità dell’Ascensione del Signore

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 28,16-20.

In quel tempo, gli undici discepoli, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato.
Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano.
E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.
Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,
insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

A Gerusalemme, presso il Monte degli Ulivi, ad un chilometro dalla Città Vecchia , sorge la Chiesa dell’Ascensione.
Al centro dell’edicola ottagonale dell’edificio, si trova la cosiddetta Pietra dell’Ascensione, “l’ultima testimonianza
terrena” di Gesù. Si tratta di una lastra di pietra su cui si ritiene che sia rimasta impressa l’impronta del piede destro del
Risorto. La fede cristiana identifica in questo luogo il sito nel quale, secondo la narrazione evangelica, Gesù Cristo
ascese al Cielo, quaranta giorni dopo la sua risurrezione dalla morte sulla croce.
L’ultima impronta: interessante e affascinante insieme, ma, se ci fermassimo lì, qualcuno potrebbe ben chiederci:
“Perché state a guardare l’impronta?”, così come i due uomini in bianche vesti chiesero agli Undici: perché state a
guardare il cielo? Questo Gesù che è stato di mezzo a voi assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto
andare in cielo (cfr. At 1,1-11).
In effetti, corriamo facilmente il rischio di pensare con un po’ di tristezza che con l’Ascensione si chiuda
definitivamente un capitolo splendido, quello della vita terrena di Gesù, punto e basta. Eppure, se tutto fosse finito così,
ci sarebbe ben poco da festeggiare!
In realtà, questo grande mistero può essere visto come un “volta pagina”, che non porta a chiusure, ma che dà inizio a
una realtà nuova, in cui il protagonista è sempre il Signore, il Dio con noi, vivo e vero, che vuole donarci la novità di
vita di «figli del Padre nel Figlio per virtù dello Spirito Santo».
Infatti, Gesù è morto e risorto “una volta per tutte” e questo evento ora sorregge e attraversa tutta la storia: non c’è che
una sola Pasqua, la cui potente energia si dispiega in una ascensione e in una pentecoste continue.
Il Signore asceso al cielo non se ne va a riposarsi dalla sua opera di redenzione: egli continua la sua opera (cfr Gv
5,17) presso il Padre e rimane vicino, vicinissimo a noi, tanto che continua a portare con sé i prigionieri, cioè noi, verso
il mondo nuovo della risurrezione e a distribuire doni agli uomini, cioè il suo Spirito. Ecco perché la sua Ascensione è
un movimento progressivo, “di inizio in inizio”, che ha lo scopo di edificare l’uomo perfetto, nella misura che conviene
alla piena maturità di Cristo (Ef 4,13), che coinvolge ciascuno di noi e che trasmette alla nostra vita spirituale un
dinamismo ascensionale. Non possiamo dimenticare, infatti, che a partire dall’ora della croce e della risurrezione, Gesù
e gli uomini sono una cosa sola: Cristo è il capo del corpo che è la Chiesa, ed è divenuto Figlio dell’uomo affinché noi
diventassimo figli di Dio.
La dinamica dell’Ascensione sarà interamente realizzata solo quando tutte le membra del suo corpo saranno state
attirate verso il Padre e vivificate dal suo Spirito.
Perché l’Ascensione non ci appaia come un mistero lontano, che non ci tocca sul vivo, proviamo ad ascoltare «un
passaggio sorprendente nelle parole di Gesù: A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque.
Quel dunque è bellissimo: per Gesù è ovvio che ogni cosa che è sua sia anche nostra. Tutto è per noi: la sua vita, la sua
morte, la sua forza! Dunque, andate. […] Andate, profumate di cielo le vite che incontrate, insegnate il mestiere di
vivere, così come l’avete visto fare a me» (Ermes Ronchi).
Sì, ogni potere è stato dato a Lui, ma adesso tocca a noi!
Ecco, allora, che il Signore ancora oggi può continuare a camminare per le nostre strade, a curare le nostre ferite, ad
asciugare le nostre lacrime, a portare consolazione, perdono, pace, speranza, gioia. Come? Proprio attraverso di noi, se
ci disponiamo ad accoglierlo in noi e a lasciarlo vivere nei nostri sguardi, nei nostri gesti, se gli permettiamo di
camminare insieme a noi, nella nostra quotidianità.
Può essere lecito qualche sano dubbio, purché sia occasione (e non ostacolo) di crescita nella fede: gli stessi Undici lo
hanno sperimentato per primi… ma non dobbiamo temere, basta lasciarci fare da Lui.
È proprio il Signore che ci incoraggia e sostiene dicendoci: Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.
Queste ultime parole del Vangelo di Matteo, che danno inizio alla storia della Chiesa, ci ricordano che il vero cristiano
non può essere un nostalgico rivolto solamente al passato, ma un discepolo teso verso l’alto, con i piedi sulla terra, che
vive nel presente la dimensione autentica della sua umanità, pur sapendo che essa è chiamata a qualcosa di più grande,
perché è destinata al Padre.
Così pregava Benedetto XVI:

«Solo tu, Cristo risorto,
ci conduci all’amore del Padre.
Aiutaci a portare la tua luce!
Aiutaci ad arrivare al “sì” dell’amore,
che ci fa discendere
e proprio così risalire
insieme con te! Amen».

Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate