IV Domenica di Pasqua

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 10,1-10.
In quel tempo, Gesù disse; «In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante.
Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori.
E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce.
Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore.
Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.
Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

 

 

Alle parole di Pietro “si sentirono trafiggere il cuore” tanto da chiedere “che cosa dobbiamo fare,
fratelli?” (cfr At 2,37).
Ieri come oggi, dobbiamo fare la stessa cosa: convertirci per accogliere il dono dello Spirito Santo,
ciò che lega il Figlio al Padre, dono promesso a tutti, vicini e lontani (cfr At 2,39). Siamo stati
chiamati proprio a compiere il bene, a lasciarci avvolgere dallo Spirito, per essere condotti e
custoditi (cfr 1 Pt 2,20-21a .25) nei verdi pascoli di vita.
Attraverso il discorso del buon pastore, l’ultimo discorso di rivelazione del Gesù giovanneo
prima della Passione, siamo condotti ad una progressiva scoperta del rapporto che lega Gesù con i
suoi discepoli, e quindi con noi.

La metafora della porta e quella del pastore ci presentano l’identità di Gesù attraverso quella di
quanti lo seguono: discepolo, e perciò anche la comunità, è determinato dall’ascolto della voce del
pastore, dalla conoscenza della sua persona e dalla sua sequela.
Solo questa relazione conduce alla vita vera e piena. Per questo ascoltare la voce e accettare di
metterci in movimento, per conoscere il dono di cui siamo portatori, è il frutto della fede, che ci
viene continuamente donata proprio attraverso quella voce, che prima di dire di sé, dice qualcosa
riguardo alla nostra identità: scoprire il Risorto è scoprire sé stessi (cfr Il vangelo secondo Giovanni,
volume 2, Jean Zumstein, ed. Claudiana, pag. 936-937), per diventare testimoni portatori di vita.

“Tu Dio, che conosci il nome mio, fa che ascoltando la tua voce, io ricordi dove porta la
mia strada, all’incontro con te” (ritornello del canto Vocazione di Pierangelo Sequeri). Sì, è questa
la destinazione: l’incontro con te che diventa incontro autentico con gli altri.
Così la metafora della pecora, presente nel brano del vangelo di oggi, fa trapelare anche la dialettica
tra l’individuo e la comunità: siamo legati al pastore con un rapporto personale, siamo chiamati per
nome, ma per essere parte di un’entità collettiva in cui ognuno ha un proprio posto. Questa unità è il
frutto della morte di Gesù, è un suo dono da chiedere sempre instancabilmente (cfr Una comunità
legge il vangelo di Giovanni, di Silvano Fausti, ed. Dehoniane, Ancora).

“Ogni uomo è una storia di amore che Dio scrive su questa terra. Ognuno di noi è una
storia di amore di Dio. Ognuno di noi Dio chiama con il proprio nome: ci conosce per nome, ci
guarda, ci aspetta, ci perdona, ha pazienza con noi” (“Maria Maddalena Apostola della Speranza”,
Udienza generale di papa Francesco, Mercoledì 17 maggio 2017), perché come il cieco del capitolo
9 di Giovanni, anche a noi sia dato di poter crescere nella scoperta di Gesù per trovare un luogo in
cui vivere, come membri a pieno titolo di una nuova comunità, il rapporto con Gesù e ricevere la
vita in pienezza.

Ci viene oggi rinnovato l’invito a uscire dal gioco di morte che ci rende sempre più
disumani per passare attraverso la porta-Gesù e diventare figli, adulti e uguali a lui, promuovendo
una cultura di fraternità, solidarietà e amore: la vita bella, vivibile, la vita di Dio e la vita da Dio (cfr
Una comunità legge il vangelo di Giovanni, di Silvano Fausti, ed. Dehoniane, Ancora).
Gesù il pastore ci tira fuori dai recinti in cui ci pare di essere custoditi e protetti, aprendoci gli occhi
sulla realtà di morte insita nei nostri infiniti schemi – dobbiamo ricordarci che le pecore restano
nell’ovile per essere munte, tosate, vendute, macellate.

Sì, Gesù è venuto a salvarci, a farci compiere sempre e di nuovo un rinnovato esodo
conducendoci ai pascoli della vita, facendoci dono della sua stessa vita., per farci più umani. Sia
dato a te e a me di accogliere questo grande regalo. Buona domenica del Buon Pastore!

Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate