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IV Domenica di Avvento

22 Dicembre 2018 by Manuela Brancatisano

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 1,39-45.

In quei giorni, Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.
Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo
ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!
A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?
Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo.
E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore».

 

1 Lettura: Mich 5,1-4a
2 Lettura: Eb 10,5-10
Vangelo: Lc 1, 39-45
Siamo alla IV Domenica di Avvento. Il cammino verso il Natale volge al termine.
Se diamo uno sguardo retrospettivo alle domeniche precedenti, vediamo che nella prima si annunciava
la venuta del Signore come un evento che sconvolge l’universo e la storia, quindi eravamo invitati a
vigilare nell’attesa.
Nella seconda domenica Giovanni Battista ci invitava a preparare la via al Signore che viene e ci era
annunciato che la sua venuta è per tutti: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”.
La terza domenica cominciava a tratteggiarci la figura del Salvatore, dicendoci che è il Dio della gioia,
quindi il suo avvento è portatore di letizia: “Giovanni annunziava al popolo la buona novella”.
Ora, questa quarta domenica, ci mostra ancora più da vicino chi è questo Messia che deve venire.
La prima lettura, dal libro del profeta Michea, ci ricorda che la città dove nascerà il Salvatore è
piccola, senza importanza. Questo non ci stupisce, perché rientra nel “modo di fare” di Dio.
Infatti, anche Davide, il più grande re di Israele, veniva da Efrata: “Le sue origini sono dall’antichità,
dai giorni più remoti”. Davide era anche il più piccolo dei suoi fratelli, nessuno avrebbe pensato di
farlo re, ma Dio, proprio per questo lo ha scelto. Dunque il disegno di salvezza di Dio passa attraverso
un piccolo resto e persone e paesi poveri, senza importanza, come Betlemme e come Nazareth.
Bérulle (un autore del XVII s.) si chiede: “Perché l’angelo dell’annunciazione trascura la Roma dei
trionfi, l’Atene delle sapienza, Babilonia la superba e perfino Gerusalemme la santa, per scendere in
quel villaggio sconosciuto e disprezzato?” C’è un perché. Perché a Nazareth troviamo un silenzio, un
vuoto, un’attesa, una donna che si chiederà che cosa possa significare il saluto di un angelo. Bérulle
continua: “Dio nasconde Maria ai mortali mediante il segreto della sua verginità, la nasconde ancor
più a se stessa mediante la sua umiltà”.
Ecco allora che il vangelo ci apre davanti un quadro in cui Maria, questa umile e povera, insieme ad
altri poveri, proprio nella loro povertà lasciano trasparire le meraviglie di Dio.
Per la loro povertà queste persone possono essere riempite di Spirito Santo ed accogliere ed esultare
per la salvezza di Dio. Elisabetta riconosce in Maria la madre del Signore, Giovanni esulta di gioia e
Maria canta le meraviglie di Dio. La sua esultanza è proprio derivante dalla constatazione del
contrasto che c’è tra la potenza che Dio ha spiegato compiendo il mistero dell’Incarnazione e la sua
radicale impotenza a raggiungere con le proprie forze questa meta.
Maria imposta la sua vita su una fede che è contemporaneamente abbandono in Dio e impegno. Dice:
“Sono la serva del Signore, si faccia di me”, ma si sente anche responsabile in prima persona del dono
che ha ricevuto, non se ne sta sola con il suo dono, ma va: “Si alzò e andò in fretta verso la regione
montuosa, in una città di Giuda”.
Fin qui abbiamo parlato del popolo di poveri che attende il Messia, vediamo ora come la seconda
Lettura (dalla Lettera agli Ebrei), ci presenta il Messia povero tra i poveri, figlio di una madre povera.
Questa lettura in particolare ci tratteggia la sua obbedienza alla volontà del Padre, la sua docilità. Solo
questo diventa per noi salvezza ed è il sacrificio che più vale per noi. L’inizio del brano è una rilettura
del Salmo 39 fatta dall’autore. Egli dice: “Non hai gradito né sacrifico, né offerta… un corpo mi hai

preparato. Il versetto che segue “Ecco io vengo per fare la tua volontà” esprime bene la sostanza della
povertà che consiste nella docilità e nell’obbedienza. E’ interessante sapere che “ascoltare” e
“obbedire” in ebraico si traducono con lo stesso verbo.
Quindi, obbedire è essere come il Figlio, sempre rivolti al Padre, in ascolto della sua volontà. Non si
può fare da sé e, contemporaneamente, ricevere da un altro. Diventare poveri non è dunque
necessariamente dare, ma guardare e ascoltare il modo di fare di Dio; come Egli ha agito in Cristo.
Anche: ascoltare l’agire di Dio nella nostra vita, perché è Lui che attraverso le circostanze, attraverso
le mie debolezze, mi spoglia davvero. Qui entra ancora in gioco la fede, perché, se io ho la tendenza a
dare il superfluo, Dio a volte chiede anche ciò che a me può sembrare necessario, ma credere significa
fidarsi, non avere altro appoggio che la sua fedeltà.
Essere poveri è anche mansuetudine, cioè, letteralmente “abituarsi alla mano”; il povero è colui che sta
nella mano Dio, che non ha più paura, che non cerca di sottrarsi.
Quando ci ritroviamo poveri non dobbiamo cantare il Miserere, ma in Magnificat, perché è giunto il
tempo in cui Dio rovescia in me il trono del mio orgoglio, disperde la mia sufficienza nel labirinto dei
suoi pensieri, mi svuota le mani delle mie ricchezze, per riempirle della sua misericordia.

Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate

Posted in: Vangelo Tag: Avvento, monache benedettine grandate, vangelo

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