Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 9,2-10.
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro
e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.
E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.
Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!».
Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.
Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!».
E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti.
Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.
Prima lettura: Gen 22,1-2.9- 13.15-18
Seconda lettura: Rm 8,31b-34
Vangelo: Mc 9,2-10
In tutti e tre i cicli dell’anno liturgico, nella seconda domenica di Quaresima, troviamo il
Vangelo della Trasfigurazione. E’ come gettare un fascio di luce verso la meta della
Pasqua.
In tutti e tre gli anni, come prima lettura, abbiamo un episodio della vita di Abramo.
Il brano di quest’anno è forse quello che meglio si accorda al mistero della
Trasfigurazione, perché ci aiuta a leggerlo proprio in vista della Pasqua.
Una sottolineatura che ci può aiutare: la Quaresima è nella Chiesa il tempo
dell’iniziazione alla vita cristiana. I catecumeni intensificano in questo periodo la loro
preparazione ai sacramenti che riceveranno nella notte di Pasqua. Attraverso le letture
delle domeniche di Quaresima quindi, Gesù viene presentato come colui che per primo ha
compiuto quell’itinerario che noi compiamo attraverso i sacramenti. Nel battesimo il
Padre rivela Gesù quale Figlio amato, lo Spirito scende su di lui e lo sospinge nel deserto.
Anche noi cristiani nel battesimo siamo fatti figli di Dio e riceviamo lo Spirito per
iniziare la lotta quotidiana contro le forze del male e per restare fedeli alla nostra
vocazione.
La Trasfigurazione, nella vita di Gesù è un po’ come la confermazione. Sembra che il
Padre lo rafforzi rivelando che la via che egli sta percorrendo è quella giusta, è quella del
Figlio amato, anche se finirà nella morte. E’ la via da percorrere perché quella morte sarà
la porta della gloria.
Nell’episodio della Trasfigurazione abbiamo una manifestazione di tutta la Trinità: oltre
allo splendore del Figlio e alla voce del Padre, c’è lo spirito Santo nel segno della nube
che lo avvolge nell’ombra. Ricordiamo che nell’Annunciazione, Gabriele parla dell’opera
dello Spirito Santo dicendo a Maria: “Su te stenderà la sua ombra la potenza
dell’Altissimo” (Lc 1,35). Anche nella vita del cristiano la Confermazione rafforza, con la
potenza dell’Altissimo, perché ci sia data la forza di vivere la Pasqua: il morire con Cristo
per vivere della sua vita.
La prima lettura ci dà una luce in più.
Il monte Moria (quello sul quale Abramo è salito con Isacco), messo accanto al Tabor (il
monte della trasfigurazione), ci aiuta a comprendere meglio il Calvario. Sul Moria ci
sono un padre e un figlio. Anche sul Tabor c’è la voce del Padre e c’è il Figlio; ma allora,
anche sul Calvario il figlio non può essere solo. Infatti, c’é il Padre e c’é pure lo Spirito
Santo che è l’amore che tiene uniti il Padre e il Figlio. Solitamente si dice: Abramo era
disposto ad offrire il suo figlio, ma in realtà non l’ha sacrificato (i nostri fratelli Ebrei non
parlano di sacrificio, ma di legatura “Akéda” di Isacco), Dio invece ha veramente
sacrificato suo Figlio per noi. La Lettera ai Romani, che troviamo come seconda lettura,
ci dice proprio questo: Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per
tutti noi (Rm 8, 32).
Per la nostra mentalità umana, abituata a considerare le persone singolarmente, questo
può costituire un problema. Umanamente, è difficile mettere insieme il fatto che Gesù sia
il Figlio amato, il prediletto e che Dio l’abbia consegnato alla morte di croce.
Un giorno un bambino chiese alla sua catechista: “Ma senti un po’: perché Dio Padre ha
mandato Gesù a morire sulla croce e non è venuto invece lui?” Come rispondere?
Una interpretazione ebraica dell’episodio che ci è proposto nella prima lettura ci può
aiutare a metterci nella prospettiva migliore per leggere questo rapporto tra il Padre e il
Figlio. Il testo di Gen 22 che verrà proclamato durante la Messa è abbreviato, ma se lo
cogliamo così come è scritto nella Bibbia vediamo che per ben due volte si ripete che
Abramo e Isacco proseguirono tutti e due insieme. Il Midrash (commento ebraico alla
Bibbia) dice che quel padre e quel figlio non erano uno il sacrificatore e l’altro la vittima.
Abramo non era colui che attraverso quel gesto estremo doveva dimostrare la sua
irreprensibile fedeltà a Dio e Isacco il malcapitato al quale era toccata la triste sorte di
servire a questa dimostrazione, ma tutti e due insieme andavano, con la stessa volontà a
compiere un atto di culto, ad obbedire a Dio.
Questo è il modo più giusto di vedere anche il sacrificio di Cristo.
La Trasfigurazione è lo sguardo d’insieme su ciò che si sta per compiere nella Pasqua. Il
Padre conferma la sua presenza anche per quando nel Getzemani e sul Calvario sembrerà
assente.
Nella Passione Gesù sembra solo. In realtà non lo è. Dio Padre e il Figlio Gesù entrano
insieme, cioè nella forza che li unisce che è lo Spirito Santo, in quel mistero che è la
Passione.
Il loro Amore perfetto ed eterno che da sempre li unisce nella Trinità, si è come “versato”
dentro la nostra realtà umana. E’ come (passate il paragone) un liquido che, versato in uno
stampo prende quella forma. Il nostro stampo umano, segnato dal peccato, conosce la
relazione principalmente nella distinzione e spesso diviene divisione, perciò, come uomo,
Gesù ha fatto l’esperienza del sentirsi abbandonato dal Padre. Il nostro stampo è diviso,
perciò vediamo due cose distinte: il Padre che manda il Figlio e il Figlio che muore; ma
in realtà sono una cosa sola. La “sostanza” è unica. Nello Spirito Santo è lo stesso amore
che ha spinto il Padre a donarsi nel Figlio e che ha sostenuto il Figlio dentro la Passione.
Rendiamo grazie a Dio che ci ha amati così, e invochiamo lo Spirito che ci aiuti a
rimanere nel suo amore anche quando non si può percepire sensibilmente.
Monache Benedettine Monastero SS. Salvatore Grandate