Il 25 dicembre, solennità del S. Natale, abbiamo celebrato il grande mistero dell’Incarnazione, tutto centrato sulla nascita di Gesù, vero Dio e vero Uomo, iniziando così il periodo natalizio ricco di ricorrenze tutte inerenti a questo avvenimento. Il S. Natale poi è così importante che la sua celebrazione non può esaurirsi in un giorno solo, allora la Chiesa ha sentito il bisogno di prolungarla per otto giorni, la così detta ottava, che termina con la solennità della Madre di Dio, dove si evidenzia che Gesù è nato da lei, quindi è vero uomo, ma si afferma che è pure vero Dio e perciò Maria è Madre di Dio. Tra queste due solennità si celebra la festa della S. Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe solitamente nella domenica frapposta tra queste due ricorrenze, ma quest’anno non c’è nessuna domenica e allora si celebra il 30 dicembre. Con questa festa siamo chiamati a guardare alla famiglia di Nazaret, che vive come tutte le famiglie, compresa la nostra, ma nello stesso tempo è diversa, è la fede che lo dice e la Chiesa la propone alla nostra attenzione come modello di vita. Nella celebrazione in giorno feriale la liturgia prevede solo una Lettura prima del Vangelo e si può scegliere tra le due indicate per quella domenicale. Attingendo alla sapienza dell’AT leggiamo il brano proposto dal libro del Siracide che in poche righe tratteggia le caratteristiche della famiglia, valide ancora oggi e ben conosciute da Maria e Giuseppe che ascoltavano la Parola di Dio in sinagoga. Parola che non ha perso la sua freschezza, ma è sempre valida. Ieri, come oggi, il Signore vuole che i figli onorino il padre e la madre e ciò attira la benevolenza di Dio col suo perdono; non c’è niente da scartare da queste poche righe di esortazioni, tutto invece da mettere in pratica nei nostri rapporti familiari.
Il vangelo di Matteo ci presenta una delle prove che ha vissuto la famiglia di Nazaret. L’episodio è quello noto della fuga in Egitto resasi obbligatoria per sottrarre il neonato Gesù alla persecuzione di Erode. Giuseppe non esita un istante ad obbedire a Dio che in sogno lo avverte del pericolo ingiungendogli di andare subito in Egitto, e lì rimane sino a quando con un nuovo sogno Dio gli chiede di ritornare in Israele perché è cessato il pericolo. La prudenza però gli consiglia di evitare la provincia della Giudea, sotto giurisdizione del figlio del defunto Erode e si reca in Galilea nella città di Nazaret. Semplice raccontare i fatti, ma pensiamo a questi due giovani, neogenitori, che dopo le circostanze non certo ideali della nascita, devono in fretta e furia raccogliere le poche cose che possono portare con sé e fuggire verso l’incerto, senza nessun aiuto se non quello di Dio. Hanno fede questi due giovani e tanta, forse noi avremmo obiettato al Signore che se davvero Gesù era suo Figlio non doveva farlo nascere in una stalla e per salvarlo poteva trovare di meglio che farlo scappare di notte. Umanamente è un’obiezione legittima, ma non saremmo nella logica di Dio che Gesù è venuto a spiegarci non solo con le parole, ma con i fatti, anzi con la sua stessa vita, ed è quella della croce. Per Gesù è stato croce lasciare la gloria del Padre per nascere in una stalla, fuggire di notte con i genitori, predicare per le strade di Palestina senza avere dove posare il capo tra le incomprensioni degli stessi apostoli e l’ostilità di scribi e farisei, morire in croce, ma lo ha liberamente accettato per dimostrarci quanto siamo amati da Dio ed è l’Amore che salva, niente altro. Gesù ha sofferto sin dalla sua infanzia solo per nostro amore, come la mamma soffre per far nascere il suo bambino, ma lo fa per amore. Amore e sofferenza spesso vanno di pari passo. È il metodo di Dio e della S. Famiglia che ha accettato di collaborare al piano di Dio senza capirlo appieno. Maria e Giuseppe hanno vissuto con problemi, gioie e dolori come tante altre famiglie della Palestina, ma lo hanno fatto sotto lo sguardo di Dio, obbedendo a Lui, alla sua legge e volendosi bene. Il Figlio Gesù onorava i genitori ed essi lo amavano e lo aiutavano a crescere come uomo e pio israelita che andava in sinagoga a pregare Dio, il Padre suo. Dio era in mezzo a questa famiglia non solo perché Gesù era Figlio di Dio, ma perché tutti amavano Dio e lo avevano messo al centro della loro vita, dei loro rapporti, allora tutti crescevano in sapienza e grazia, in armonia con Dio e tra di loro. Ecco è questo ciò che dobbiamo imitare nella famiglia di Nazaret, anche noi siamo chiamati a mettere Dio al centro della nostra vita, del nostro cuore, dei nostri pensieri, delle nostre scelte; chiediamoci quindi se siamo nella logica di Dio o dei nostri interessi, ne va della nostra stessa felicità, perché la famiglia di Nazaret anche in mezzo alle prove, ha vissuto la gioia di chi sa di essere nelle mani amorose di Dio, anche nei momenti bui.
Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate