Introduzione
Il ministero ordinato è un dono immenso di Dio alla Chiesa e al mondo. Attraverso il sacramento dell’Ordine il Signore Gesù “prende in carico” e unisce strettamente a sé dei semplici uomini per renderli partecipi – a titolo del tutto speciale – della missione che il Padre gli ha affidato. Come Gesù – sostenuti dalla forza dello Spirito e in comunione tra di loro e con il collegio dei vescovi – i preti annunciano instancabilmente che il Regno di Dio è vicino (cf Mc 1,15), invitano alla sequela (cf Mc 1,16-20), scacciano i demòni (cf Mc 1,21-28), vanno incontro ai malati e ai bisognosi di ogni tempo (cf Mc 1,29-34), rimettono i peccati (cf Mc 2,1-12). In una parola: sull’esempio del loro Maestro danno la vita per amore del gregge. Così, attraverso l’agire dei preti è la Trinità stessa che opera nel mondo per il bene degli uomini. In effetti, essere scelti personalmente da Dio per il servizio ai fratelli significa anzitutto accogliere dalle sue mani un dono che nessun uomo può darsi da sé.
Il prete, strettamente parlando, non ha nulla di proprio. Ciò che distribuisce – con la stessa generosità che gli è stata usata (cf Mt 10,8) – è ciò che, a sua volta, continuamente riceve: la parola, le azioni, la vita che il Signore vuole trasmettere al mondo servendosi anche di lui. Per questa ragione, dunque, il prete deve continuamente posare il capo sul cuore di Cristo per sentire, in esso, il battito d’amore della Trinità (cf Gv 13,25), ma deve anche lasciarsi inviare con coraggio ai poveri per portare loro ciò di cui egli stesso viene reso partecipe. Solo così – in questo continuo passaggio dallo “stare” con Gesù all’essere “da lui inviati” (cf Mc 3,14) – il prete può portare al mondo la misericordia di Dio che anche oggi vuole entrare nella vita di ciascuno per guarire e consolare, per incoraggiare e correggere. In breve: per concedere ancora, al di là di tutto, la possibilità di nuovi inaspettati inizi.
La Chiesa non può fare a meno dei preti. Senza di loro la misericordia di Dio rischierebbe di essere qualcosa di astratto e non potrebbe raggiungerci nella quotidianità della vita, come accade, ad esempio, nel sacramento della Riconciliazione – nel quale è Cristo stesso che ci consola e guarisce – o in quello dell’Eucaristia, nel quale il Risorto si fa nostro cibo per sostenere il nostro cammino, per trasformarci in lui e per unirci fra di noi secondo la misura del suo dono.
Anche il sacramento dell’Ordine è però un tesoro custodito in vasi di creta (cf 2Cor 4,7). I preti, come tutti, sono persone fragili e vulnerabili, soggetti anch’essi a tutti i limiti che caratterizzano l’uomo. L’audacia di Dio nei nostri confronti si mostra proprio nel fatto che egli vuole servirsi di creature rivestite di debolezza (gravate da limiti fisici, da condizionamenti psicologici, perfino da resistenze colpevoli agli appelli della grazia, etc.) per continuare a raggiungere, attraverso di loro, gli uomini di tutti i tempi. Tuttavia, proprio questa fragilità, che ogni prete vive nella sua persona, è posta a servizio dell’annuncio della misericordia. Ogni prete sa di essere un peccatore perdonato, uno al quale, senza meriti, è stata usata misericordia (cf 1Tm 1,13); ma anche uno che – una volta ravveduto – può confermare, come Pietro, i suoi fratelli (cf Lc 22,32), ricordando loro che Dio è «più incline a compatire che a punire».
In virtù di questa solidarietà con i fratelli, il prete può stare loro vicino con profonda umiltà e rispetto, essendo in grado di comprendere, in forza della sua stessa esperienza, le loro domande e i loro timori, le loro angosce e le loro ferite (cf Eb 4,15). Ma si può anche dire, al tempo stesso, che tutto il popolo di Dio è così invitato a prendersi cura dei propri preti, riconoscendo in essi, non solo la sollecitudine di Dio per la sua Chiesa, ma anche «guaritori feriti», le cui domande di aiuto, spesso implicite, attendono di essere ascoltate.
1. L’importanza del ministero ordinato
2. Tornare all’essenziale
3. Il rinnovamento missionario della pastorale
4. Ripensare la forma delle comunità cristiane