18 maggio 2020
Sono impressionanti i numeri dello spreco alimentare in Italia. In una famiglia vengono sprecati 2,4 chili di cibo ogni mese, a causa di distrazione o di mancanza di organizzazione. Il costo dello spreco, relativo solo ai consumatori e non alle aziende, ai negozi e quant’altro, è di 12 miliardi di euro all’anno. Di fronte a queste cifre 2 italiani su 10 si autoassolvono, attribuendo lo spreco al commercio e alle mense.
Ma c’è anche chi reagisce e fa sì che il cibo potenzialmente sprecato vada in realtà a sostenere associazioni ed enti che si occupano degli ultimi. Negli ultimi anni, in Italia, è tutto un fiorire di volontari che ritirano il cibo da negozi, ristoranti, grande distribuzione. Questi generi alimentari vengono poi assegnati a mense per i poveri.
Resta il problema del cibo in famiglia. Basta fare l’esperienza di un campo estivo per constatare quanto siano capricciosi i nostri ragazzi in fatto di cibo e quanto siano abituati ad un’alimentazione da fast food. Si ha un bel dire, da parte dei nutrizionisti, di riscoprire le merende della nonna (le mie consistevano solitamente in pane, burro e zucchero d’inverno e in una insalata di pomodori dell’orto con l’aggiunta di formaggio caprino d’estate) e i cibi sani e di stagione, ma i gusti si vanno sempre più imbarbarendo, avendo come criterio quasi unico quello della fretta e della rapidità.
A questo proposito, sarebbe bello riscoprire il valore dello stare a tavola, con calma, senza accendere la televisione e lasciando i cellulari fuori dalla portata uditiva (per esempio il grande chef Giorgio Locatelli, nel suo ristorante stellato di Londra, impone ai clienti di lasciare il telefono alla reception). In questi anni mi è capitato di assistere a scene alienanti da parte di chi non sa staccarsi dal cellulare neanche quando si è seduti a tavola così come mi son dovuto sorbire pranzi e cene imbarazzanti in case dove la televisione restava accesa, attirando l’attenzione dei commensali.
Situazioni tristi e imbarazzanti, che devono farci riacquistare il desiderio di dialogare, approfittando del fatto di essere riuniti attorno alla tavola. Tutto questo ci fa pensare che, per l’essere umano, l’atto del mangiare non è solo ubbidienza ad un istinto primordiale, ma è espressione della cultura in cui si vive e della propria personalità: “l’uomo è ciò che mangia”diceva, forse esagerando un pochino, Feuerbach. D’altronde, anche Gesù è spesso descritto durante pranzi e cene, fino ad arrivare al culmine dell’ Ultima Cena.
Il cibo è vita. E riguarda la vita anche degli altri, non solo la nostra. Ben venga, dunque, il volontariato che permette di evitare gli sprechi. E ben venga l’educazione di tutti ad un rapporto corretto con ciò che si mangia.
don Roberto