20 agosto 2018
Decine di morti. Vite spezzate a tradimento. Uomini, donne bambini. Persone che stavano lavorando, persone che pregustavano la meritata vacanza. Persone che mai avrebbero pensato ad un ponte che crolla sotto la propria auto, il proprio camion.
Volti che non sorrideranno più, quelli delle persone che hanno perso la vita nel crollo del ponte Morandi, a Genova. Penso a queste persone.
E penso al mio Dio. Mi rendo conto che, in questo momento, se fossi ateo avrei qualche problema in meno. Mi basterebbe parlare di errori umani, di manutenzione trascurata, di fulmini e di pioggia.
Anche se credessi alla reincarnazione sarei tranquillo. Mi basterebbe pensare che tutte queste persone (anche i bambini) in qualche vita precedente ne abbiano combinate di tutti i colori.
E anche se mi fermassi all’Antico Testamento (come fanno oggi tanti cristiani) sarei a posto. Dio non punisce il male fino alla quarta generazione? E allora, caro mio, siccome tuo nonno era un delinquente ed è morto di vecchiaia nel suo letto, adesso la punizione tocca a te, che non hai fatto nulla di male se non essere suo nipote.
E invece io credo in un Dio che si è detto Amore. Io non credo al destino, ma alla Provvidenza. Io non credo in una divinità lunatica e spesso arrabbiate, ma in un Dio che Ama profondamente e teneramente i Suoi figli. Quando si crede in un Dio così non è facile giustificare il crollo del ponte Morandi, svincolandolo da ogni implicazione con la volontà di questo Dio.
Certo vengono in mente tante parole del Vangelo sulla venuta del Figlio dell’uomo, quando due saranno nello stesso letto e uno verrà preso, mentre l’altro lasciato, esattamente come a Genova, questione di secondi tra chi è passato prima e chi è arrivato dopo.
Per chi crede nel nostro Dio la fede non è un dato pacificamente acquisito. E tante situazioni della nostra vita rimangono inspiegabili, difficilmente inseribili nel concetto di amore, forse troppo umano, che abbiamo e che applichiamo a Dio.
Personalmente mi sono annotato diverse cose che dovrò chiederGli quando mi presenterò davanti a Lui. Senza la pretesa che mi risponda, ovviamente. Forse l’unica cosa da fare davanti a certe sciagure è tacere, fermandosi davanti al Mistero e ammettendo la nostra totale incapacità di capire.
Perchè altrimenti rischiamo solo di dire banalità irritanti all’orecchio e al cuore di chi soffre e meriterebbe solo rispetto per la propria sofferenza. I nostri balbettii possono essere solo dannosi per chi sta faticosamente cercando un “perchè” che forse non troverà mai risposta. Meglio condividere un dolore, senza inutili parole.
E guardare a Gesù, il Crocifisso, sintesi e conforto di tutte le sofferenze umane. La Sua risurrezione resta il fondamento della nostra speranza e va oltre ogni dolorosa domanda, ogni attonito e tragico “perchè”.
don Roberto