11 giugno 2018
Ricorderete tutti le giustissime polemiche e le prese di posizione da “schiena dritta”, con innumerevoli passaggi su tutti gli organi di informazione, in occasione della testata che Roberto Spada, fratello di un boss di Ostia, diede al giornalista Daniele Piervincenzi, che lo pressava sugli agganci mafiosi della famiglia che gestiva il crimine in quel tratto di litorale romano.
Qualche giorno fa si è verificato un altro episodio di questo tipo, che non mi sembra aver avuto tutto il supporto mediatico necessario a una condanna senza “se” e senza “ma”. Sarà forse per il protagonista, che non era un truce individuo in odor di crimine, ma un “illustre” ex politico, ex parlamentare (dal 1994 al 2013), ex ministro delle comunicazioni nel governo Berlusconi III ed ex presidente della commissione di vigilanza sulla RAI?
L’ex di cui parlo è Mario Landolfi, il quale ha colpito con uno schiaffo violentissimo il giornalista Danilo Lupo, del programma “Non è l’Arena”, che, in strada, tra i passanti, gli rivolgeva domande sui vitalizi dei parlamentari. Lo schiaffo è stato, ovviamente, accompagnato dal turpiloquio che fa tanto virilità in ogni maschio che si rispetti. I passanti, intanto, guardavano stupiti lo scoppio di violenza.
Già, la violenza.
Probabilmente siamo portati a valutare con più benevolenza i gesti violenti commessi da una persona che non è parente di mafiosi.
Si sa: i giornalisti che sono troppo insistenti, le tensioni della vita, le difficoltà economiche, la crisi… E allora anche uno schiaffone diventa non dico giustificabile, ma almeno comprensibile.
E poi uno schiaffo non è una testata. Gli ha solo fatto cadere gli occhiali, al giornalista, mica gli ha rotto il naso, come a quell’altro. Lo schiaffo conserva un non so che di nobile, dà il senso di quella consapevolezza di sè e delle proprie prerogative che il superiore ha di fronte all’inferiore.
Lo schiaffo è la reazione della dignità calpestata e irrisa, che si difende non versando lacrime, caratteristica dei deboli, ma distribuendo schiaffi, estremo urlo di dolore di un’anima verginale proditoriamente violata. Per questo un uomo in odore di mafia non può dare schiaffi, ma solo testate. Mentre un uomo ex potente non potrà mai dare testate, ma solo schiaffi.
Forse qualcuno vuole indurci a pensare che c’ è una differenza antropologica, genetica tra diversi tipi umani.
Una differenza che non si basa sulle scelte personali, ma sull’appartenenza a una famiglia, a un gruppo, a una casta. Si sentono spesso commenti del tipo “Eh, da una famiglia così, che cosa poteva uscire?”, come se tutti i delinquenti fossero figli di cattive famiglie e tutti i bravi fossero figli di brave famiglie.
E poi si vedono figli di ottime famiglie che demoliscono l’oratorio, che spaccano i lampioni, che non studiano e ne combinano una ogni giorno!
Abbiamo i nostri pregiudizi e i nostri stereotipi e facciamo fatica a pensare che fare il bene o fare il male è una scelta personale. E che l’educazione ricevuta conta, ma non dà luogo a processi automatici. E che sono esecrabili le testate come gli schiaffi, quando sono atti di aggressione e di rabbia incontrollata, indipendentemente da chi li fa.
Ognuno di noi è un po’ buono e un po’ cattivo.
Sarà bene ricordarselo, se vogliamo tener sotto controllo il peggio che alberga nella nostra psiche e vogliamo potenziare la parte migliore. E sarà bene tenere presente una serie di azioni sempre qualificabili come male e una serie di azioni sempre qualificabili come bene (e su questo,purtroppo, mi sembra che la confusione sia notevole e che “il relativismo”, tanto esecrato da Benedetto XVI, stia prendendo sempre più piede, anche nella Chiesa).
Sarebbe bello avere su TUTTI lo sguardo di Dio, che conserva comunque fiducia in ogni creatura umana, sempre capace di fare il bene. E sentirlo, questo sguardo, innanzitutto come sprone a dare sempre il meglio di sè, senza sentirci “obbligati” al peccato.
Schiaffi e testate pari sono, anche se il trattamento mediatico è diverso in base a chi li distribuisce.
don Roberto