12 settembre 2022
Ha suscitato scalpore il saluto “beneaugurante” che mons. Delpini, arcivescovo metropolita di Milano, ha rivolto al povero vescovo di Como, appena creato cardinale, nella festa di Sant’Abbondio.
Al termine della celebrazione eucaristica l’arcivescovo della Diocesi più popolosa del mondo si è rivolto, a nome della Conferenza episcopale lombarda (e, quindi, non a titolo personale) al cardinal Cantoni con espressioni che hanno suscitato ilarità e sconcerto. Non faccio il riassunto, rimandando al video, che si trova su Youtube.
Mi preme, però, ricavare alcuni spunti che possono essere utili.
Mons. Delpini, pur sotto il velo del sarcasmo (l’ironia è un’altra cosa, ed era totalmente assente) ha esercitato una virtù che è spesso citata dagli Atti degli Apostoli e da papa Francesco: la parresia, cioè la franchezza. Ha detto quello che pensava, lasciando parlare il cuore.
E così ha manifestato tutta la rabbia, il livore, la frustrazione, la delusione e l’orgoglio ferito che albergano in lui, che da anni attende la nomina cardinalizia e che, anche questa volta, ha dovuto saltare il turno. Ma rabbia, livore, frustrazione, delusione e orgoglio ferito sono anche di molti componenti della Chiesa di Milano.
D’altronde i cardinali, con assoluta modestia, sono soliti dichiarare che il loro titolo non è un premio personale, ma un riconoscimento alla Chiesa che governano. Quindi un mancato cardinale vede diminuito non tanto il suo prestigio personale, ma quello della sua Diocesi.
Un secondo spunto utile è che, se ce ne fosse stato bisogno, i semplici fedeli hanno potuto constatare che anche i vescovi sono dei poveracci, come tutti. Hanno le loro invidie, le loro gelosie, sono uomini deboli e fragili, soggetti a sbagliare. Fanno fatica a controllarsi e a vivere quell’amore che predicano.
Esattamente come noi. Siamo tutti sulla stessa barca, verrebbe da dire con un tono consolatorio. Anche un vescovo, in fondo, può essere un vecchietto rancoroso, che non controlla più i suoi impulsi e non si fa problema nel mostrare la parte peggiore di sè.
Un terzo spunto, particolarmente importante, viene, poi, dalla scelta operata dal Papa (incomprensibile e sostanzialmente ridicola, secondo il Delpini, disperatamente rimasto monsignore), che, per la prima volta in Italia, ha creato cardinale il vescovo di una diocesi suffraganea, e cioè dipendente da un’altra cosiddetta metropolitana (Milano, nella fattispecie).
E così la povera Como, ecclesiasticamente inferiore a Milano, si è trovata ad esserle in un certo senso superiore. Della serie “beati gli ultimi perchè saranno i primi”. E forse è proprio questo che il Delpini non riesce a cogliere.
Per chi ragiona in termini di carriera e di prestigio le scelte del Papa sono incomprensibili. Mettere al centro le periferie, gli ultimi, mettere in pratica il Magnificat, sono tutte cose che non possono essere recepite da certe teste, abituate ad altro. E a cui rimane solo il far finta di ridere con battute stantie su quello che pensano i gesuiti.
Il nostro vescovo, nella sua bellissima prima omelia da cardinale, a Roma, ha invitato a contemplare la bellezza che c’è nell’altro e nella Chiesa. Invito da raccogliere sempre, cercando il bello e il buono in ogni situazione e in ogni persona. Anche in un arcivescovo che si mostra un po’ incontinente.
In ogni caso, per trovare una risposta stupenda alle parole di mons. Delpini basterebbe ascoltare l’omelia del Papa per la beatificazione di Giovanni Paolo I.
Chissà perchè, ma sembravano parole pensate apposta per l’arcivescovo di Milano.
don Roberto