18 febbraio 2019
Da pochi giorni si è conclusa la storica visita di papa Francesco nella penisola arabica, terra sacra dell’Islam.
Incontri discorsi, firme di comuni dichiarazioni di intenti, celebrazione della santa Messa per i lavoratori cattolici presenti in gran numero nei ricchi Paesi del Golfo. Il tutto a ottocento anni dall’incontro, avvenuto a Damietta, in Egitto, tra san Francesco d’Assisi e il sultano Malik al-Kamil. Siamo nel corso della quinta crociata e il santo di Assisi parte con alcuni compagni per annunciare il Vangelo ai “saraceni”, alla ricerca abbastanza esplicita del martirio. Forse con sua somma sorpresa, al posto del martirio, trova accoglienza, ascolto e benevolenza. Probabilmente anche dibattiti.
Certamente, come immortalato dagli affreschi della Basilica di Assisi, san Francesco sfida i “sacerdoti” musulmani alla prova del fuoco, per dimostrare in modo definitivo quale fosse la vera religione e quale quella falsa.
Oggi molti storici rifiutano di accogliere come realmente avvenuto l’episodio dell’ordalia. Qualcuno si spinge a negare qualunque valore storico alle biografie di san Francesco redatte in modo ufficiale su ordine di diversi Papi, confinandole nel campo dell’agiografia.
In realtà proprio dal papa Innocenzo III, durante il IV Concilio Lateranense del 1215, era stato severamente vietato di usare l’ ordalia per dirimere questioni di fede o di altro tipo.
Sembra strano che i biografi di san Francesco (e in particolare san Bonaventura, che scrive su espresso ordine del Papa) abbiano riportato un episodio così “scomodo” per la presentazione del fondatore del francescanesimo, sempre perfettamente allineato con i dettami papali, se questo episodio di “disobbedienza” non fosse realmente accaduto. In ogni caso appare chiaro l’intento di san Francesco: tentare di convertire il sultano e, con lui, i “saraceni alla fede in Gesù.
Intento ritenuto ormai anacronistico da quanti (e sono proprio tanti!) vedono il dialogo solo come ascolto delle buone ragioni dell’altro e assoluto silenzio sulle proprie.
Mi chiedo: Gesù ha ancora qualcosa da dire a chi non crede espressamente in Lui? E’ proprio così vero che proporre di credere in Gesù non è rispettoso di chi crede in altro? Non è qualche volta il caso di non fermarsi all’esercizio stupendo della carità, ma di aggiungere un annuncio esplicito della salvezza realizzata dal Crocifisso Risorto?
Per secoli siamo andati cercando per il mondo popoli da portare a Gesù. Ora che questi popoli stanno venendo da noi, che cosa facciamo? Non ho ricette. Però credo che si possa invitare coloro che incontriamo nella normalità della vita a conoscere Gesù.
Se, come sostiene qualcuno, è giusto che i cristiani conoscano e leggano il Corano (o qualsiasi testo sacro di qualsiasi religione) penso che sia giusto che gli appartenenti ad altre religioni leggano il Vangelo.
Senza obbligo di conversione, ovviamente!
don Roberto