Ruoli

19 luglio 2021

Molto spesso si sente l’espressione “essere veri”. Sembrerebbe che gli atteggiamenti e le parole delle persone debbano corrispondere al carattere e renderlo manifesto, pena lo scadere nell’ipocrisia. Posto che uno iracondo per carattere sarebbe il caso che si controllasse, anzichè dar di matto in ogni situazione, mi verrebbe da dire che spesso i nostri atteggiamenti e le nostre parole devono essere corrispondenti al ruolo che rivestiamo.

Se un papà e una mamma avessero una voglia tremenda di litigare e insultarsi, dando libero sfogo al proprio carattere e all’impulso del momento, probabilmente sarebbe meglio che si trattenessero se fossero presenti i loro figli. Chiunque abbia un ruolo educativo non dovrebbe mai dimenticare i doveri conseguenti a questo ruolo, primo fra tutti il dovere di dare il buon esempio. Proviamo a pensare a quanto sono deleteri gli esempi negativi dei personaggi pubblici (politici, sportivi, attori…) che si lasciano andare senza ritegno a esprimere opinioni proprie, spesso discutibili e provocatorie, e a tenere atteggiamenti inqualificabili, lontani mille miglia anche solo dalla buona educazione e dal buonsenso. Poi ci si meraviglia se il livello della vita sociale e dei rapporti umani sta sempre più scivolando in una cloaca maleodorante.

Bisognerebbe capire che esistono ruoli dai quali le opinioni personali sono bandite, se non coincidono con il bene comune (diverso dal “sentire” comune). Ferma restando l’esigenza di presenze profetiche, in grado di educare soprattutto con la propria vita esemplare, bisogna stare attenti che la profezia non scada nell’esibizionismo o nella ricerca dei consensi o nell’affermazione di sè.

Chi riveste un ruolo pubblico e/o educativo ha bisogno di una dose massiccia di umiltà, per riuscire a servire realmente gli altri e non i propri punti di vista. A volte può essere richiesta una sorta di “spersonalizzazione”, che richiede di lasciar da parte gli aspetti del proprio carattere incompatibili con il ruolo che si riveste.

E’ ipocrisia? Non credo. Io la chiamerei carità.

don Roberto