Progressisti?

25 settembre 2023

Sembra farsi sempre più aspro, anche nella Chiesa, il confronto tra progressisti e conservatori. Gli uni spinti a superare i “vecchi” schemi, soprattutto in campo morale, ma anche riguardo al concetto di “verità”, che dovrebbe diventare flessibile e adeguarsi ai tempi, alle culture e ai luoghi in cui la Chiesa si trova a vivere.

Gli altri abbarbicati a tutto quello che sa di “tradizione”, dando a questa parola un contenuto molto ampio, che va dai dogmi ai canti delle processioni. Ma è proprio vero che progressismo e conservatorismo siano così precisamente definiti nei loro confini? Basterebbe guardare la Bibbia per scoprire che i profeti,  grandi progressisti dell’ epoca, che spingevano il popolo a superare le brutture del presente per andare incontro ad un futuro luminoso di fedeltà a Dio, proponevano come modello il passato,  cioè quel tempo che Israele ha trascorso nel deserto, in intimità profonda con Dio. Tornare al passato, quindi, sarebbe ciò che renderebbe migliore il futuro.

È proprio vero, quindi, che il passato è da rigettare? D’altronde,  che cosa prospettano i sostenitori delle aperture al “gender “, all’omosessualità e ad altri aspetti della morale sessuale se non un ritorno al passato,  ad un’epoca cosiddetta classica,  nella quale tutto questo era pacificamente accettato? E a che cosa si rifanno i fautori di una Chiesa povera se non agli Atti degli apostoli,  cioè alla Chiesa di duemila anni fa? Si rischia di dare ragione al libro del Qoelet,  quando dice che “non c’è nulla di nuovo sotto il sole,  ciò che è stato, sarà “.

I concetti, dunque, diventano molto liquidi, i confini si confondono alquanto se non prendiamo come principio ispiratore il Vangelo e le verità su Dio e sull’uomo che da esso derivano. Perché alcune cose non potranno mai cambiare. Pena l’essere infedeli a Gesù.

don Roberto