20 marzo 2017
Quando sento la parola “peste” mi sovvengono un po’ di ricordi del liceo: Lucrezio, Boccaccio e, soprattutto, Manzoni.
E proprio la peste descritta ne “I promessi sposi” mi ha sempre impaurito, fin dai tempi dello “sceneggiato” degli anni ’60 del secolo scorso. Oggi siamo concentrati su altre malattie e alcuni canali televisivi sembrano fatti apposta per travestire una semplice influenza da pandemia. Chissà che cosa direbbero i redattori dei suddetti canali se dovessero impegnarsi perchè il telegiornale presentasse come titolo d’apertura l’ultima epidemia di peste.
Che non è quella descritta da Camus, ma quella scoppiata un paio d’anni fa in Madagascar.
La peste c’è dunque ancora? Ebbene sì!
E non solo in Madagascar, ma anche in India, in Africa e nel Sud-est asiatico.
Paesi poveri, dirà qualcuno, dove le condizioni igieniche sono quelle che sono e gli abitanti muoiono comunque di tante malattie infettive. New Mexico, Arizona, California e Colorado, però, non sono Stati poveri, fanno parte della più grande Potenza militare del mondo, gli Stati Uniti d’America.
Proprio qui ogni anno si registrano una quindicina di persone infettate dal terribile batterio della peste.
E questo mi fa pensare tanto: la più grande Potenza del mondo non è capace di sconfiggere un esserino microscopico che si annida nelle pulci dei topi e che, negli Stati americani suddetti, ha deciso di non farsi più trasportare dai topi, ma dai cani della prateria.
Il batterio della peste, infatti, è altamente mutante, cambia fisionomia, si adatta agli antibiotici e rende impossibile la realizzazione di un vaccino efficace. Bisogna solo sperare in una diagnosi precoce e in bombardamenti di antibiotici a cui non si è ancora adattato.
Vogliamo andare su Marte e non riusciamo a sconfiggere la peste!
Costruiamo armi apocalittiche e non riusciamo ad eliminare un esserino microscopico!
Basterebbe questo per farci riflettere sulla nostra fragilità e sulla nostra piccolezza.
E questa riflessione dovrebbe portarci una buona dose di umiltà.
Ma siamo di dura cervice, noi umani.
Ci crediamo sempre chissà chi e siamo tanto presuntuosi.
Salvo poi scoprire, con dolore, che ci sono realtà infinitamente più piccole di noi molto più potenti di noi.
E a questo punto, per farci rinsavire e diventare consapevoli di quel poco che siamo, non dovremmo neanche scomodare la peste.
Basterebbe l’influenza: noi a letto con la febbre e il mondo che va avanti lo stesso!
Che smacco per il nostro desiderio spasmodico di essere indispensabili!
don Roberto