11 luglio 2016
Si chiamava Michelangelo ed era il bambino portato in grembo da Simona Monti, una delle vittime dei terroristi in Bangladesh.
Era stato concepito 21 settimane fa ed era a tutti gli effetti una persona.
Per questo mi ha molto impressionato il fatto che tutti i mezzi di comunicazione, persino il cattolicissimo quotidiano “Avvenire” (sempre giustamente schierato per sostenere la vita umana e l’esistenza di una persona fin dal concepimento), abbiano parlato di nove italiani uccisi a Dacca.
Gli italiani sono dieci!
E Michelangelo è morto soffrendo, come la sua mamma.
Un povero bambino neanche degno di essere annoverato tra le vittime, considerato solo una protuberanza della sua mamma, anche da chi, in altra (più conveniente in termini di immagine?) sede, è capace di virulente battaglie sui valori non negoziabili.
Un povero bambino come più di un milione di altri poveri bambini grandi qualche anno (non molti) più di lui, che in Bangladesh vivono sostanzialmente come schiavi lavorando anche per 14 ore al giorno nell’industria tessile, la più grande fonte di introiti del Paese, grazie ai grandi marchi e agli imprenditori occidentali che “decentrano” la produzione, in alcuni casi quasi azzerando i costi. Michelangelo è stato ucciso dai terroristi.
Quanti altri bambini in Bangladesh vengono uccisi (non direttamente, ci mancherebbe!) da persone in giacca e cravatta, crociati del dio denaro? Per informazioni, chiedere all’UNICEF.
All’esame di maturità, nel lontano 1982, il commissario di Storia mi fece una domanda sul neocolonialismo, cioè su quella forma subdola di sottomissione dei paesi poveri da parte di quelli ricchi realizzato attraverso l’economia.
Se il fenomeno era già in atto da tempo trenta e passa anni fa, figurarsi adesso!
Certo, per un povero anche qualche moneta costituisce una ricchezza.
Mi ha fatto impressione scoprire, grazie ad un’inchiesta televisiva senza peli sulla lingua (i giornalisti seri che fanno bene il loro mestiere senza troppi riguardi al potente di turno ci sono ancora, grazie a Dio!), che i bambini siriani profughi in Turchia sono largamente utilizzati per produrre ciabatte e scarpe per famosi marchi occidentali.
Lavorano 10-12 ore al giorno per la bella cifra di 2 euro AL GIORNO!
Roba da far sentire ricchi sfondati i raccoglitori di pomodori in tante campagne d’Italia, che guadagnano l’astronomica cifra di 2 euro all’ora.
E’ proprio vero che tutto è relativo.
E che forse non è sempre il caso di ammantare con la religione atti che trovano la loro origine in questioni politiche o economiche.
D’altronde il cristianesimo, in tutte le sue diramazioni, è sempre stato visto come la religione degli oppressori, degli schiavisti, degli “occidentali” che in tanti modi tenevano sotto il proprio tallone i Paesi poveri. E ribellarsi al tallone significava togliere di mezzo anche la religione degli odiati padroni (la rivolta dei Boxer in Cina credo sia emblematica a questo proposito).
Forse perchè il problema ha rivelato di avere diverse sfumature molti commentatori erano stupiti che i terroristi di Dacca fossero giovani di buona famiglia, istruiti, allievi delle migliori scuole, uno addirittura figlio di un politico di alto livello (memoria volutamente corta? I terroristi che hanno insanguinato l’Italia negli anni settanta e ottanta del secolo scorso erano quasi tutti laureati e uno dei loro capi era figlio di un più volte ministro della Repubblica, Donat Cattin).
Molto più comodo pensare ad un terrorismo frutto dell’ignoranza e della povertà piuttosto che frutto della cultura e del benessere.
Ma anche qui ho già visto con amarezza la risposta dei soloni “de noantri”: erano giovani annoiati che non sapevano come passare il tempo e hanno organizzato una specie di videogioco.
Povero Michelangelo!
Vittima innocente e ignorata della cattiveria umana e anche della cecità (interessata?) di chi non vuol vedere il dramma della povertà di tanti popoli e di quanto assolutorio e spesso molto danaroso sia il principio “aiutiamoli a casa loro”.
A Michelangelo, che è in Paradiso, chiediamo di pregare perchè possiamo essere un po’ migliori.
don Roberto