10 dicembre 2018
A Leopardi bastavano una siepe e il silenzio per pensare all’infinito. Altri hanno bisogno di guardare il cielo stellato o il mare, là dove si tocca con il cielo.
Ma anche guardare dentro di noi è fare esperienza di infinito. Paradossalmente, forse. Che cosa c’è di più “finito” della creatura umana? La fragilità fisica e psicologica, la malattia, la morte: tutte realtà che urlano la nostra pochezza, Eppure… Eppure, se ci osserviamo con attenzione, scopriamo nel nostro essere qualcosa che va ben oltre noi stessi e il nostro stare qui, su questa terra.
Se ci osserviamo attentamente scopriamo dentro di noi il mistero.
Siamo un mistero, anche a noi stessi. Siamo una realtà incompiuta e tale resteremo finchè staremo in questo mondo. Siamo in cammino verso una meta e in questo cammino scopriamo ad ogni passo qualcosa di nuovo di noi e degli altri. E il nuovo che scopriamo è rivelatore di ulteriori novità.
Chi siamo? Possiamo solo abbozzare qualche risposta. La verità piena su noi stessi la scopriremo solo quando saremo di fronte a Dio. Che cosa c’è dentro di noi? Un tesoro fantastico e un putridume orripilante, mai completamente noti.
E proprio questa impossibilità di conoscerci fino in fondo ci richiama l’infinito. Forse per questo alcuni consumano la propria esistenza inseguendo sè stessi, senza mai raggiungersi e consumandosi nella fatica, incapaci di trovare la felicità, anime tormentate e sofferenti. L’infinito ci attira e noi, affascinati dalla vertigine, proviamo a carpirne un po’, assetati che non riescono ad estinguere la propria sete, povere falene attratte da una luce che può bruciare le ali.
E superando continuamente noi stessi, i nostri limiti e le nostre debolezze, celebriamo il nostro anelito ad andare oltre e, per chi crede, ad essere un po’ di più come Dio ci vuole. Le profondità della nostra anima, le sfumature e la complessità del nostro essere ci fanno intuire la grandezza di Chi ci ha pensati e amati.
Fino a quando potremo incontrarlo, l’Infinito.
don Roberto