20 novembre 2017
Non pensavo che il programma televisivo “Le iene” fosse così seguito.
In questi giorni mi sono sentito rivolgere domande da tante persone, di Grandate e non, sui fatti descritti nel programma. Ma più che dare risposte, non avendone di certe, ho potuto fare solo delle considerazioni.
La prima è che ormai la sfiducia nelle gerarchie ecclesiastiche è dilagante.
E non tra coloro che noi continuiamo a definire “lontani” o “cristiani della soglia” o “cristiani anonimi”.
Bensì tra i “vicini”, tra i frequentatori abituali della parrocchia, dell’oratorio, tra coloro che partecipano regolarmente alla Messa. In queste persone si sta radicando sempre di più l’idea che “le alte sfere” non abbiano per nulla a cuore il bene delle persone, soprattutto dei più piccoli, ma siano impegnate solo a fare magagne e a nasconderle o a negarle nel momento in cui vengono scoperte.
Fa male sentir dire “io continuo a credere in Gesù, perchè se fosse per i preti…”. E questo senso di sfiducia è continuamente alimentato da fatti che sono portati all’attenzione dell’opinione pubblica e non efficacemente smentiti (“perchè sono veri”, affermano i più).
Di certo i dubbi e le perplessità che emergono dalla visione di quel programma televisivo sono molti. Non riassumo i fatti, rimandando alla visione del suddetto programma.
Mi limito ad elencare i commenti che più spesso mi è capitato di sentire.
Se è tutta una calunnia, un’invenzione, una vendetta di un omosessuale geloso e cacciato dalle autorità superiori perchè non agire in tribunale, con una denuncia?
Si tratta di un caso di perdono evangelico a oltranza e, quindi del martirio di chi lascia infangare il proprio nome e quello della Chiesa e di una delle sue istituzioni più prestigiose, il Preseminario San Pio X (che ci fa davvero una pessima figura, dipinto come luogo di lussuria e di depravazione ignorate o tollerate dai superiori), oppure si ha paura a denunciare perchè questo comporterebbe la scoperta di qualche scheletro nell’armadio?
D’altronde, se è vero, come afferma a chiare lettere il comunicato della Diocesi di Como, che “la Diocesi, in base agli elementi in suo possesso, si attiene alla correttezza dell’iter di valutazione dell’idoneità al sacerdozio del suddetto seminarista, il quale ha compiuto a Roma il proprio percorso formativo, valutato positivamente dalle autorità a questo preposte. Le accuse mosse sono già state oggetto di accertamento da parte delle competenti sedi ecclesiastiche: i Superiori canonici hanno osservato e valutato la persona e la sua condotta”, siamo decisamente di fronte ad un caso di calunnia, che deve essere assolutamente riconosciuto nella sede opportuna, attraverso un processo che porti alla condanna del calunniatore. Ne va del bene della Chiesa e della società intera.
E’ un servizio alla verità e lo si deve, se non altro, ai genitori dei ragazzi delle Comunità di Colorina, di Valle, di Cedrasco, di Sirta, Rodolo e Alfaedo, che si sono giustamente allarmati sapendo che i loro figli erano stati affidati ad un potenziale abusatore.
Inoltre il comunicato stampa si premura di affermare che il vescovo di Como ha ordinato presbitero questo giovane “dopo aver ritualmente compiuto quanto di propria spettanza”, cioè dopo aver consultato (immagino, perchè questa solitamente è la procedura) la commissione diocesana “de promovendis ad Ordines”, presieduta dal vicario generale e deputata all’acquisizione di informazioni sul candidato presbitero.
Con tutto questo lavoro di tutte queste personalità non si può sbagliare. E non può che restare in piedi l’ipotesi della calunnia.
E ora che il Vaticano (dispettoso!) riapre le indagini e intende approfondire tutta la vicenda?
Non potevano approfondirla nel 2014 il card. Comastri, l’allora vescovo di Como, i superiori del Preseminario, anzichè limitarsi a trasferire il seminarista sotto accusa nel seminario francese di Roma e il rettore del Preseminario a Como?
Ancora calunnie? O mezze verità? Chi sta mentendo e perchè?
Chi è stato superficiale? Chi ha cercato (tanto per cambiare) di minimizzare o, peggio, di insabbiare?
Non è forse ora di fare chiarezza senza rifugiarsi dietro i comunicati stampa (ah, i comunicati stampa!) e dando pubblica relazione dei fatti attraverso una conferenza stampa alla presenza di tutti i giornalisti interessati alla questione? Che cosa si teme? O forse si pensa di trarre beneficio dal ruolo di vittime intervistate a bruciapelo, per strada?
Non dimentichiamoci che il primo modo per alimentare la cultura del sospetto è quello di rispondere in modo evasivo alle domande o di non rispondere affatto o di fuggire precipitosamente.
L’immagine di una Chiesa in fuga dalla Verità. Una fuga sgommante, veloce e arrabbiata.
Questa è la cosa più tragica che rischiava (prima dell’intervento del Vaticano) di restare scolpita nella mente e nel cuore di tante persone.
Come sarebbe bello vedere una gerarchia ecclesiastica che affronta le proprie responsabilità senza sottrarsi al confronto, ammettendo gli eventuali torti e affermando le proprie eventuali ragioni!
E’ questo che tanti “vicini” chiedono, stanchi delle reticenze vendute come “bene della Chiesa” e come prudente attenzione a tutti i protagonisti di fatti incresciosi.
Tante persone ricordano ancora (e qualcuno le vive ancora sulla propria pelle) la sofferenze che la nostra Diocesi ha patito per i fatti del 2012, fatti nei quali l’ha fatta da padrone un misto di turpitudine, superficialità, supponenza e imbecillità.
Penso che sia proprio il caso di pregare, chiedendo al Signore che non siano replicati gli atteggiamenti di allora e che ognuno abbia il coraggio di rendere un’autentica testimonianza alla Verità.
Dobbiamo recuperare un po’ di credibilità, non possiamo lasciare che il messaggio evangelico non venga preso in considerazione per l’inadeguatezza di qualche prete o di qualche vescovo e non possiamo continuamente trincerarci dietro il fatto che “siamo tutti uomini e peccatori”.
Ma fare qualche peccato in meno sarebbe proprio fuori luogo?
Forse dovremmo provare, ognuno nel proprio ruolo, a far capire a tutti che la Chiesa ha davvero a cuore i piccoli, i deboli, gli indifesi, che non sono solo i profughi, ma anche i ragazzi delle nostre Comunità.
Confidiamo nell’azione di Dio, che guida la Sua famiglia e le permette di individuare il male e di estirparlo.
Senza paure. Senza compromessi. Senza complicità.
don Roberto