13 luglio 2020
” Agnese levò,a una a una, le povere bestie dalla stia, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo, il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell’orto (…) e se n’andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia,e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettore , come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavano a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia,e, in tutti i modi dava loro fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate, le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”.
I “capponi di Renzo” mirabilmente descritti dal Manzoni nel terzo capitolo dei Promessi Sposi sono diventati proverbiali. Alcuni critici sostengono che l’ironia manzoniana abbia avuto come bersaglio, con questa descrizione, gli esuli italiani.
A me i capponi sono venuti in mente assistendo all’intenso dibattito, tutto interno alla Chiesa cattolica, sul modo di distribuire la Comunione durante la pandemia: con i guanti o senza guanti?
In un primo momento mi è venuta una considerazione amara: siamo rimasti in quattro gatti (pardon: capponi) ma riusciamo a beccarci ferocemente anche sulle stupidaggini, ovviamente ammantate di grandi ideali (rispetto per il Corpo di Cristo, senso del Sacro e via dicendo). Poi, però, sono stato preso da una ventata di ottimismo. Infatti se abbiamo tempo da dedicare al tema “guanti sì e guanti no” vuol dire che tutti gli altri problemi sono finalmente risolti.
Vuol dire che le chiese sono tornate a riempirsi, particolarmente di giovani; vuol dire che nelle nostre chiese facciamo fatica a gestire il numero incredibilmente alto di bambini che, insieme ai loro genitori, si preparano a ricevere i Sacramenti partecipando assiduamente tutte le domeniche alla santa Messa e che continuano a venire anche dopo averli ricevuti, i Sacramenti.
Vuol dire che nei nostri incontri di catechesi degli adulti assistiamo alla partecipazione entusiastica di talmente tante persone che al confronto le folle che ascoltavano le prediche di san Bernardino da Siena erano sparuti drappelli. Vuol dire che tutti i Cattolici hanno seguito il consiglio del Papa e vanno in giro con il Vangelo in tasca, leggendolo in ogni istante di pausa, in treno, in autobus, mentre fanno la fila alla cassa del supermercato o in posta.
Vuol dire che sono finalmente stati sistemati tutti gli scandali finanziari, tutti gli abusi sui minori e le persone fragili e che la trasparenza regna sovrana nelle gerarchie ecclesiastiche. In una parola, vuol dire che siamo usciti dal tunnel e che mai come oggi la Chiesa vive un tempo di splendore e di trionfi così bello da potersi permettere, tanto per parlare di qualcosa, di dare grande importanza a quelle realtà che, prima del Concilio Vaticano II, venivano chiamate in ambito liturgico “chiroteche” e oggi sono volgarmente dette “guanti”.
Suggerirei, a questo punto, il tema di un prossimo interessante dibattito: se chi riceve la Comunione in bocca ha la lingua marrone (segno di un caffè molto denso) o viola (segno di un vino abbastanza scadente o di mirtilli mangiati a colazione o a pranzo o a merenda) oppure l’alito che denota un pasto a base di aglio o di cipolla talmente abbondanti che a chi distribuisce la Comunione manca il respiro, il prete può dedurre di non avere di fronte una parte corporea sufficientemente degna di ricevere il Corpo di Cristo e quindi può invitare il fedele poco attento all’igiene orale a sciacquarsi la bocca prima di ricevere l’Ostia?
E se l’alito denota una bella fumatina proprio prima di entrare in chiesa, oltre all’igiene orale non ne va di mezzo anche il digiuno eucaristico?
Mi rendo conto che queste sono questioni di scarsa importanza, ma, in un tempo di chiese stracolme di fedeli, bisogna pur trovare qualcosa su cui dibattere.
don Roberto