25 marzo 2019
Merce rara, la gratitudine. E non solo oggi.
Quando Gesù guarisce dieci lebbrosi uno solo di questi torna da Lui per ringraziare. Ed era un Samaritano! Facciamo fatica ad essere grati. Forse diamo tutto per scontato, forse riteniamo che gli altri abbiano solo doveri nei nostri confronti. E così rischiamo di non accorgerci che quello che mangiamo è frutto del lavoro e della fatica di migliaia di persone. E altre migliaia migliaia di persone ci permettono di vestirci, di avere gli elettrodomestici, l’automobile… E anche noi, con il ruolo che svolgiamo nella società, siamo utili agli altri, contribuiamo al loro benessere.
“Grazie” è una parola tanto bella quanto poco usata. La utilizziamo con grande parsimonia in casa, in famiglia, sul lavoro, nel tempo libero. Alla mamma che prepara la colazione, il pranzo, la cena difficilmente si dice un bel “grazie”. Al papà che arriva distrutto dal lavoro, difficilmente si dice “grazie”. Ai figli che arrivano da scuola con un bel voto difficilmente si dice “grazie”.
E potremmo continuare con tante altre persone a cui non si dice mai “grazie”. Forse non si ricorda di dirlo nemmeno il datore di lavoro ai propri dipendenti. E la stessa cosa fanno i dipendenti con il proprio datore di lavoro. Eppure se viviamo, se abbiamo la possibilità di bere, di mangiare, di lavorare, di divertirci, di essere curati quando ci ammaliamo, lo dobbiamo sempre ad altre persone.
Proviamo,poi, a pensare a tutti coloro che ci hanno insegnato qualcosa. Genitori, nonni, maestre, professori, catechisti. Tutte persone che hanno donato un po’ di sè per farci crescere, per farci diventare uomini e donne capaci di prendersi le proprie responsabilità, di contribuire al bene comune.
Quanta gratitudine dovremmo avere! Anche verso Colui che ci ha pensato e ci ha Amato da subito, riempiendo di meraviglie la nostra quotidianità. Qualche volta si ha l’impressione che il nostro procedere nella vita sia come quello di uno schiacciasassi: non amiamo le persone, le utilizziamo. Siamo consumisti fino al midollo e vogliamo possedere senza amare, pretendiamo dagli altri senza provare a metterci nei loro panni, a riflettere sulle loro fatiche, sulle loro sofferenze. Tutto ci è dovuto: é questa convinzione che ci impedisce di provare gratitudine. E invece niente ci è dovuto, nemmeno l’alzarci al mattino.
Potrebbe essere un bell’impegno per questa Quaresima: dire “grazie”.
don Roberto