27 giugno 2016
“I genitori educano i propri figli fin dalla culla con eccessiva tolleranza e dissolutezza.
Ancora fanciulli, appena cominciano a balbettare qualche sillaba,si insegnano loro con gesti e parole cose vergognose e deprecabili. Sopraggiunto il tempo dello svezzamento, sono spinti non solo a dire, ma anche a fare cose immorali… Ben a ragione, pertanto, afferma Seneca: “Essendo cresciuti tra i cattivi esempi dei nostri genitori, tutti i mali ci accompagnano fin dall’infanzia”
. .. Cresciuti un po’ in età, istintivamente passano ad azioni sempre peggiori, perchè da una radice guasta di solito cresce un albero difettoso e ciò che è degenerato difficilmente si può risanare.
E quando varcano la soglia dell’adolescenza che cosa pensi che diventino? Muovendosi tra dissolutezze di ogni specie, poichè è permesso fare tutto quello che piace, si abbandonano con passione ad una vita depravata. Facendosi così schiavi del peccato, trasformano il loro corpo in strumento di iniquità e cancellano in se stessi ogni segno di vita cristiana”.
Tutti abbiamo sentito esprimere (e qualche volta li avremo espressi anche noi!) questi concetti: i genitori non sanno più educare i figli, i quali hanno buttato alle ortiche la fede cristiana e si comportano senza più regole; i genitori non danno più l’esempio ai figli i quali, fin da piccoli, ne combinano di tutti i colori, spesso con l’approvazione dei genitori stessi; le nuove generazioni sono sempre peggiori di quelle precedenti; i giovani sono un bel problema.
Consola, forse, sapere che le frasi iniziali non sono state pronunciate da qualche sociologo contemporaneo e nemmeno da qualche prete pessimista in una qualche riunione del consiglio pastorale, bensì da Tommaso da Celano nella “Vita prima” di san Francesco d’Assisi.
Ebbene sì, questo modo così attuale e per certi aspetti condivisibile di vedere la società (e in particolare il mondo giovanile) ha un’età di tutto rispetto: è del 1229!
Chissà come dovremmo essere ridotti se già tanti secoli fa le cose erano messe così male.
E invece siamo ancora qui a ripeterci i soliti luoghi comuni, a criticare i giovani di oggi che sono peggio dei giovani di ieri (cioè di noi), a fare considerazioni intrise di pessimismo sul futuro del mondo, che “come potrà andare avanti in mano a simili debosciati” (perchè quello gestito da noi è ovviamente un giardino di lavanda profumata). Non sono un pedagogista e nemmeno un sociologo, ma nella mia vita sacerdotale ho incontrato migliaia di giovani veri, in carne e ossa,non quelli delle indagini statistiche. Con questi giovani ho parlato, ho condiviso esperienze anche profonde di fede e non. Soprattutto, questi giovani mi sono sforzato di ascoltarli, per provare a capirli, per imparare qualcosa da loro e per insegnare loro qualcosa.E ho trovato qualche mela marcia e tantissime mele buone. Come da sempre capita nella storia dell’umanità, dove i buoni e i cattivi si mischiano ad ogni latitudine e sotto ogni pelle e non esistono buoni in assoluto e cattivi in assoluto. Solo che il nostro sguardo è spesso distorto e siamo portati a vedere più i difetti che le virtù.
Troppo spesso non abbiamo gli occhi di Dio e non sappiamo cogliere il bello e il bene che ci sono in ogni creatura e in ogni situazione.
E’ facile, allora, diventare, per dirla con Renzi, “rosiconi”, gente eternamente scontenta e brontolona.
E anche un po’ presuntuosi, quando pensiamo che noi siamo stati e siamo il meglio e che i nostri tempi sì, che erano belli e onesti e gioiosi e produttivi. Ma forse è solo perchè il tempo di quando si avevano trent’anni in meno è sempre più bello di quando se ne hanno trenta in più.
Forse il “problema giovani” è solo la nostra incapacità di invecchiare accettando serenamente il carico degli anni.
don Roberto