16 gennaio 2017
“Essere giovani non è un merito né una virtù. È semplicemente una condizione dell’esistenza”.
Mi ha fatto molto riflettere questa frase, adesso che sembra essere finita la sbornia di giovanilismo legata all’età dell’ex Presidente del Consiglio e da lui collegata a concetti tanto superficiali quanto barbarici come quello di”rottamazione”.
Che, sostenuto da uno che per due terzi della vita non ha fatto altro che il politico, suscita anche un sorriso amaro.
A parte questo aspetto, il rischio, forse un po’ insito nelle pieghe dell’animo di noi italiani, era di generalizzare, arrivando a pensare che il giovane è buono, bravo, intelligente, volitivo, coraggioso, entusiasta, aitante in quanto…giovane!
E così tutti i giovani possiedono automaticamente queste caratteristiche, mentre i vecchi son tutti automaticamente cattivi, incapaci, stupidi, egoisti, vigliacchi, demotivati e quindi vanno tolti di mezzo, politicamente e magari non solo. Poi, grazie al Cielo, c’è anche l’esperienza personale e ognuno di noi si rende conto di aver conosciuto giovani con caratteristiche da far accapponare la pelle quanto a superficialità, sventatezza, miseria interiore e chi più ne ha più ne metta e giovani eccezionali, ai quali affidare ad occhi chiusi le sorti di un’azienda, di una famiglia, di una comunità civile o ecclesiale.
E lo stesso vale per i vecchi (cioè le persone dai cinquanta anni in su!).
Alla fine quello che conta è la singola persona, unica e irripetibile.
E ogni singola persona ha dentro di sé un po’ di bene e un po’ di male e tutta la sua vita sarà una lotta per potenziare l’uno e tenere a bada l’altro.
Essere giovani, dunque, non è un merito, come non lo è essere vecchi.
Cerchi ognuno di rintuzzare i propri difetti, alcuni oggettivamente più acuti a seconda dell’età che si sta vivendo, sforzandosi di vedere tutti i pregi dell’altro, perché, come diceva san Giovanni Bosco, “ anche se una mela sembra completamente marcia, quando la tagli a metà scopri che ha i semi ancora buoni”.
don Roberto