18 novembre 2024
“Il frutto dello Spirito è amore, gioia,pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. (Galati 5,22)
San Paolo ci fa un elenco di virtù che dovremmo imparare a memoria e sul quale dovremmo fare l’esame di coscienza ogni giorno. A riprova del fatto che essere cristiani non è solo l’avere determinate convinzioni intellettuali o coltivare una qualche forma di vita spirituale, appagante ed estraniante dal mondo, ma l’essere capaci di tradurre in gesti concreti quello che lo Spirito Santo ci dona ogni giorno. Senza questa dimensione “materiale” l’essere cristiani si traduce in una dottrina (“cristianismo ” o “cattolicismo”, la definiscono alcuni) teorica, una ideologia tra le tante, incapace di incidere nella vita dei singoli e in quella della società.
Un insieme di principi e di simboli, da sfruttare e/o da brandire (vedi un certo uso del crocifisso e della corona del rosario) per affermare la propria identità in contrapposizione a quella degli altri. Riuscire a fare gesti d’amore, a regalare gioia, a costruire la pace, a guardare con occhi di benevolenza, ad evitare tutti gli estremismi, soprattutto quelli emotivi: da questo si vedrà la nostra docilità allo Spirito. Anche le preghiere servono solo se ci fanno entrare in una dimensione veramente profonda con Gesù. E la reale profondità si misura solo sulla nostra reale trasformazione.
Se al termine della preghiera i nostri atteggiamenti sono sbagliati esattamente come prima della preghiera, che cosa abbiamo fatto di buono? Ad essere ottimisti, dovremmo dire che lo Spirito ci ha aiutato a non peggiorare. In realtà siamo rimasti ciechi e sordi alla Sua azione. Possiamo cambiare il mondo. Ma dobbiamo, con grande onestà, esaminarci sull’elenco fatto da San Paolo.
don Roberto