Fortuna

11 dicembre 2023

La nostra è una società “cristiana”?

Non nel senso della pratica religiosa (la frequenza alla Messa domenicale in Italia non arriva al 20% della popolazione), ma nel senso della presenza di quei valori che dovrebbero caratterizzare la civiltà occidentale da duemila anni a questa parte. Oggi si stanno diffondendo sempre più alcune religioni cosiddette “neopagane” (druidismo, wicca…), di derivazione, ovviamente, nordamericana, ma in realtà il permanere di concetti pagani è molto più diffuso ed entra nel modo corrente di parlare, denotando un pervicace attaccamento ad una concezione religiosa che, ufficialmente, non fa più parte del nostro modo di pensare.

Prendiamo, per esempio, la parola “fortuna”. Quante volte la pronunciamo? Tantissime. Quante volte, pronunciandola, in realtà crediamo al concetto che esprime, cioè un’entità cieca, più o meno benevola, direttamente collegata alla “divinità” suprema che è il “caso”? Tantissime, alla faccia di due millenni di cristianesimo.

Mi ha colpito molto aver letto recentemente il testo di un affermato teologo, incidentalmente vescovo, mons. Franco Giulio Brambilla, il quale, parlando dei nuovi movimenti religiosi all’interno della Chiesa cattolica, usa due volte l’espressione “per fortuna”. Mi chiedo: non sarebbe stato meglio, per un vescovo (maestro del suo popolo) usare l’espressione “grazie a Dio”?

La “fortuna”, divinità pagana, ci fa davvero piombare in un mondo caotico, governato dal caso, dove un dio capriccioso dispensa favori e disgrazie (la “sfortuna”) tenendo gli occhi chiusi, disinteressato al vero bene degli umani.

Proviamo a cristallizzare anche il nostro modo di parlare, così che esprima davvero la certezza che Gesù Cristo è venuto nel mondo e ci ha dimostrato l’amore autentico di Dio. Senza dimenticarci del contributo che, liberamente, diamo noi stessi al dipanarsi della nostra vita.

don Roberto