17 luglio 2017
Una dozzina di anni fa il vice sindaco di Como, Paolo Mascetti, aveva proposto che il giorno di Natale le famiglie comasche invitassero a pranzo un barbone (pardon, un “senza fissa dimora”, si dice oggi, “clochard”, si diceva allora quando si voleva dare un tocco di romanticismo ad una persona spesso disfatta dall’alcol e che viveva di elemosina, però sempre in procinto di”iniziare un lavoro”).
Una sola famiglia in tutta Como aveva risposto a questo appello e il vice sindaco aveva rilasciato agli organi di informazione preoccupate dichiarazioni sull’egoismo e la chiusura dei comaschi.
Qualche giorno dopo era stata pubblicata sul quotidiano ” La Provincia” la lettera piccata di una signora che, sostanzialmente, si augurava che l’unica famiglia ad avere invitato un senza fissa dimora fosse quella del vice sindaco. Perchè quando si fa una proposta agli altri bisogna attuarla per primi e personalmente, se si vuole essere credibili. Altrimenti è meglio tacere e non criticare gli altri.
Insomma, bisogna dare il buon esempio!
Alla lettera della signora non ci fu risposta, il che fece dedurre che la famosa e generosa famiglia non fosse quella del vice sindaco.
Mi viene in mente questo piccolo episodio quando sento e leggo proclami, inviti, appelli, ricatti psicologici che giocano sul senso di colpa.
In questi ultimi tempi, per esempio, questo tipo di letteratura abbonda e tanti, dal Papa in giù, non cessano di richiamare (giustamente) al dovere dell’accoglienza nei confronti dei migranti, individuati come la categoria di poveri a cui oggi bisogna dare più attenzione.
Mi sta bene. Mi starebbe ancora meglio se chi rivolge l’appello si mostrasse coerente con quello che scrive o dice.
Mi chiedo: in quanti palazzi vescovili d’Italia sono fisicamente ospitati dei migranti? I palazzi vescovili, di solito, non mancano di locali vuoti.
Conosco un prete, don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio, che i migranti se li è letteralmente portati in casa, tenendo per sè solo una stanzetta.
Lui sì che potrebbe lanciare appelli! Perchè chiederebbe cose che lui per primo mette in pratica.
Certo, come diceva Gesù riguardo ai farisei, “quello che vi dicono di fare fatelo, ma non fate come fanno”.
Io, però, sono proprio strutturato male e mi piacerebbe anche vedere la corrispondenza tra parole e fatti.
Don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, non si era limitato ai proclami. Aveva accolto in casa “fisicamente” una famiglia sfrattata: padre, madre, due bambine e il cagnolino.
Di don Tonino Bello è in corso la causa di beatificazione.
Ma come diceva una volta un vescovo “certi santi sono da ammirare, non da imitare”.
Meglio parlare. Costa meno.
don Roberto