23 gennaio 2017
“Solitudinem faciunt, pacem appellant”: fanno il deserto, lo chiamano pace.
È una famosa frase dello storico latino Tacito, che, nella sua mitica “brevità”, descrive una tremenda caratteristica dei Romani: sterminare intere popolazioni per poi dire di aver portato e realizzato la pace.
Sembra infatti che un metodo infallibile per ottenere la pace sia quello di eliminare dalla faccia della terra tutti i propri nemici.
Questa frase di Tacito mi viene in mente spesso in questi ultimi tempi, anche se così modificata : ”fanno il deserto e lo chiamano pastorale”. Sto riflettendo da un po’ sulle grandi strategie ecclesiastiche (mi sembra improprio definirle ecclesiali): progetti mirabolanti atti a risolvere i problemi dei bambini che non vanno a Messa, degli adolescenti che non vanno più a catechismo, delle famiglie che la domenica vanno al centro commerciale invece che all’oratorio, dei fidanzati che non si sposano più in chiesa.
Sembra che lo scopo unico di tutti questi progetti sia la comprensione intellettuale delle realtà di fede (i Sacramenti, la Chiesa, Dio stesso), guardando ad un ideale di vita lontano mille miglia dalla realtà quotidianamente vissuta dalle persone normali, le quali lavorano stando fuori casa anche 12 ore al giorno, sono alle prese con problemi economici e hanno tutti i giorni tante corse da fare, arrivando stremate al fine settimana.
E non morendo dalla voglia di consumare serate e domeniche ad ascoltare prediche più o meno noiose e sicuramente molto teologiche.
Il problema allora non è fissare un’età per la Cresima o la Messa di prima Comunione (prima Comunione che, tra l’altro, secondo il Codice di diritto canonico, può essere fissata solo dal parroco insieme ai genitori) o stabilire che i bambini devono essere per forza presenti alla Messa domenicale se vogliono ricevere i Sacramenti (una volta la presenza a Messa dava diritto al film pomeridiano in oratorio. Stiamo alzando sempre più il tiro. Tra qualche anno darà accesso direttamente al Paradiso!) o costringere i genitori a vivere (subire?) un’intera domenica in oratorio.
E che dire dei fidanzati, che “devono” anche loro partecipare alla Messa, come tanti bravi soldatini che hanno capito (?) il valore e l’essenza del Sacramento del Matrimonio?
Forse è il caso di tornare a don Bosco e alla sua idea che l’educazione è cosa del cuore.
Se manca il cuore, se non c’è la passione per Gesù non c’è progetto che tenga.
Se invece c’è il cuore bastano una soffitta e tanta fantasia per educare alla “vita buona del Vangelo” (san Filippo Neri insegna).
Senza troppe teorie ed elucubrazioni che sanno di razionalismo stantio e relegano la Grazia sacramentale ad un di più, di cui si può anche non tener conto perché l’unica cosa importante è la testa.
Il cuore che si apre ad una comprensione profonda del Mistero, il sentimento, che ci fa conoscere il Tu di Dio: tutte cose che van bene per gli sciocchi e gli illetterati.
Che bello essere sciocchi e illetterati!
Risultato finale dei progetti: il deserto.
Come prima. Forse più di prima.
Forse è il caso di riscoprire (scoprire?) la pastorale vera, che è quella dell’incontro personale nella quotidianità della vita, dell’annuncio semplice e gioioso che Gesù ci ama e ci salva.
Forse è il caso di riscoprire (scoprire?) la bellezza incredibile del Vangelo e degli ideali di vita che propone.
E viverli!
Forse allora avremo meno in bocca la parola”pastorale” e ci sarà un po’ meno il deserto nelle nostre chiese e nei nostri oratori.
don Roberto