26 giugno 2017
Non so se capita a tanti, ma a me capita.
Ogni mese mi ritrovo inondato da pubblicazioni di tutti i tipi (ma per la maggior parte di stampo religioso), ovviamente accompagnate dal bollettino postale da utilizzare per il versamento a sostegno dell’ ente o istituto religioso o associazione che si è presa la briga di inviare la pubblicazione.
Poi ci sono i questuanti che suonano il campanello.
Poi ci sono quelli alle porte della chiesa.
Poi ci sono quelli che incontri ogni venti metri quando percorri le strade di Como…
E capisco la domanda che molti spesso mi rivolgono : “ma dobbiamo dare a tutti?”.
La risposta mi sembra ovvia, anche se qualcuno ci resta male, sentendola da un prete :”NO”.
A parte che se si dovesse dare a tutti si rischierebbe di rientrare poi nel numero di la carità la chiede, anzichè farla, io credo che la beneficenza sia una cosa seria e che i soldi costano tanta fatica e tanto sudore da meritarsi di non essere sprecati.
A chi dare, allora? E qui le cose non sono semplici.
Eliminati d’ufficio gli accattoni di professione, che si distinguono anche per i ricatti morali del tipo ” sei cristiano e non mi dai niente?”, rimane sempre una bella schiera di possibili beneficiari.
E nel corso dell’anno anche le nostre parrocchie, che spesso non navigano nell’oro (la nostra, per esempio, è ancora alle prese con cospicui debiti) sono “obbligate” a destinare le entrate della questua di alcune Domeniche alle necessità più varie: missioni, università cattolica(?!), seminario, terra santa, obolo di San Pietro (alias carità del Papa)…tutte (?) destinazioni di alto impatto etico e decisive per l’annuncio e la testimonianza del Vangelo.
E così il povero discepolo di Gesù dona un po’ del proprio denaro convinto di sostenere i poveri e gli affamati o di investire per la formazione dei futuri dirigenti della società civile e della Chiesa.
Poi, però, si leggono notizie strane.
Per esempio che mons. Pizzaballa, dal 2016 Amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, ha scritto una lettera al clero e ai fedeli della Diocesi, dicendo apertamente che “Non tutto va bene. Sono stati fatti degli errori che hanno ferito la vita del Patriarcato, finanziariamente ed amministrativamente, soprattutto riguardanti l’Università americana di Madaba”. Con questa Università l’America c’entra ben poco . Voluta dal precedente Patriarca di Gerusalemme, l’università è emanazione diretta della Chiesa e ha generato un dissesto di decine di milioni di euro nel bilancio del Patriarcato.
Classico esempio di pessima gestione di risorse finanziare provenienti dalla carità delle altre Chiese.
E che dire dell’Obolo di San Pietro.
Non è dato sapere ufficialmente la destinazione delle cospicue offerte perchè la voce non rientra nel bilancio della Santa Sede. Bisogna quindi leggere l’interessante libro di Gianluigi Nuzzi “Via crucis” per apprendere che nel 2012 sono stati raccolti 53 milioni di euro.
Questi soldi hanno avuto le seguenti destinazioni: 14,1 milioni per progetti del Santo Padre, 6,9 milioni per specifica finalità (?), 28,9 milioni per il mantenimento della curia romana, 6,3 milioni accantonati.
Dei 14,1 milioni per i progetti del Papa si scopre che 5,5 milioni sono andati alla tipografia vaticana, 1 milione alla biblioteca e 309.000 euro alle fondazioni vaticane.
Il 67% delle entrate dell’Obolo, quindi, va a sostenere non i poveri ma la struttura elefantiaca della Santa Sede.
Se questa è la situazione, a chi fare beneficenza?
O a singole persone che conosciamo direttamente e che sappiamo essere oneste e oculate nella gestione oppure a enti che pubblicano in modo dettagliato il proprio bilancio e rendono conto al centesimo di come spendono i soldi che incassano. Evidentemente ognuno è poi libero di usare i propri soldi come vuole, anche di buttarli via.
Pinocchio, per esempio, si è fidato del Gatto e della Volpe e ha sbagliato clamorosamente.
Io, che non ho soldi da buttare e che vedo all’opera tanti Gatti e tante Volpi, cerco di aiutare il più possibile chi ha realmente bisogno e mi offre garanzie di onestà e trasparenza. Altrimenti anche la carità diventa uno spreco.
don Roberto