25 febbraio 2019
Iniziano ancora una volta le benedizioni in Parrocchia.
E’ la trentesima volta che vivo questa emozionante esperienza. Sondrio, Rovellasca, San Giuliano in Como, Grandate: ringrazio il Signore per avermi permesso di entrare in tante case, di incontrare tante persone, di visitare tanti luoghi di lavoro.
La benedizione fa sentire che Dio è vicino, che la Parrocchia è davvero Chiesa tra le case. Volti, sguardi, gioie, speranze e sofferenze: storie di vita autentica, profumi di cibo, giocattoli e libri, pesci nell’acquario e gatti addormentati sul divano, il televisore acceso, la spesa da sistemare…
Quante persone, ognuna con il suo carico di fatiche e di sacrifici, con qualche pena nel cuore, con qualche gioia pudicamente celata dietro un timido sorriso. Persone che attendono un incontro con Dio, più che con il prete; persone che, forse, di questo Dio non si ricordano spesso, ma quando ti viene in casa…
Una preghiera detta insieme, qualche parola, un augurio, le caramelle e i cioccolatini e le merendine per i chierichetti e le ministranti: una semplicità di altri tempi, un incontro senza intellettualismi, che va all’essenziale. E l’essenziale può essere racchiuso anche solo in uno sguardo. O in una lacrima.
La benedizione ci dice di un Dio che ci incontra nella nostra quotidianità, come lungo le rive del lago di Tiberiade. E, come allora, viene a trovarci anche quando stiamo lavorando. Ha fatto così quando è andato in mezzo alle barche, con i pescatori, o quando si è fermato al banco delle imposte, per chiamare il pubblicano Levi.
Dio non è lontano, anche se noi, qualche volta, lo sentiamo così. Portare la benedizione di Dio è una delle cose più belle e più importanti che prete possa fare. La Chiesa esce dalle sacrestie e incontra sè stessa, quella parte di sè che vive correndo, arrabattandosi, che litiga e fa pace, che si misura ogni giorno con situazioni difficili, che richiedono impegno e dedizione.
E’ una Chiesa “umana”, quella che si incontra durante le benedizioni. Con tutto ciò che l’umano comporta, di bello e di brutto.
“Benedire” significa, per un prete, uscire da sè, armarsi di sorrisi e di compassione, diventare, anch’egli, più umano.
E, forse, capire un po’ di più la vita degli “umani”.
don Roberto