22 marzo 2021
Ho sempre collegato l’avaro a Paperon de’ Paperoni: un ricco che vive da miserabile per non spendere soldi, chiuso ad ogni tipo di aiuto e generosità verso gli altri che comporti un qualche esborso di denaro. Ma poi mi sono ricreduto.
L’avarizia, infatti, non riguarda solo il denaro. L’avarizia è una grettezza d’animo che alberga in ogni essere umano. Non sempre il suo oggetto è il denaro. Pensiamo a quando siamo avari di tempo da dedicare agli altri: sempre tirati, sempre di corsa, sempre indaffarati. Ma il tempo per quello che ci piace lo troviamo sempre, quello per far visita ad una persona sola o malata (magari anche un parente stretto) non lo si trova mai.
Abbiamo un sacco di tempo da consumare sui social, a volte scrivendo le più grandi stupidaggini di questo mondo e mettendo in mostra senza pudore i lati più intimi della vita, i sentimenti più profondi, nell’attesa spasmodica di essere apprezzati, ma il tempo per ascoltare a tu per tu una persona magari un po’ noiosetta, che però ha bisogno di sfogarsi e di essere tirata su di morale, quello facciamo tanta fatica a trovarlo. E che dire di quando siamo avari di attenzioni verso chi vive attorno a noi? Spesso gli altri ci sono proprio indifferenti, come se non ci fossero.
Abituati a consumare, “consumiamo” anche i rapporti, possediamo invece di amare, vogliamo tutte le attenzioni per noi senza degnare di uno sguardo i desideri e le esigenze dell’altro, che magari è il coniuge, il figlio, il genitore. Spesso avari, quando si tratta di dare qualcosa di nostro. Spesso insaziabili, quando si tratta di prendere. E così si incontrano tante persone ridotte ormai ad essere peggio delle spugne, con un bisogno quasi patologico di essere vezzeggiate, apprezzate, complimentate, considerate, coccolate: tutti e tutto per loro.
Solitamente costoro sono gli avari nello stadio finale dell’avarizia. Uno stadio finale che comporta sempre, come effetto collaterale, la totale solitudine.
don Roberto