31 gennaio 2022
Capita spesso di incontrare persone che hanno poca considerazione di sè, che si ritengono inferiori agli altri, che non si sentono mai all’altezza della situazione. E questo può provocare una grande sofferenza.
Il senso di inadeguatezza si trasforma in una tristezza che avvolge ogni ambito della vita e, a volte, diventa vera e propria depressione. Altre volte, però, può tornare comodo autocommiserarsi, piangersi addosso, ritenersi perseguitati da Dio e dagli uomini. In fondo, si tratta di non cambiare il proprio stile , la propria impostazione di vita, si tratta di scaricare su altro ( a “sfortuna”?) le proprie fragilità e i propri difetti per non impegnarsi mai seriamente a modificarli.
Il ruolo di vittima può anche essere redditizio a livello affettivo: attira l’attenzione compassionevole degli altri, li induce ad una certa benevolenza, li rende anche dispensatori di qualche coccola. L’autocommiserazione, però, non tiene conto del fatto che Dio non ci ha creato per soffrire ed essere infelici.
Dio, infatti, ci ha dotati di risorse per reagire alle avversità, per combattere nelle difficoltà, per non lasciarci travolgere dagli eventi. Essere consapevoli dei Suoi doni e delle nostre capacità è il modo più importante per dimostrarci figli riconoscenti e per diventare portatori del Suo amore. Quando ci accorgiamo che l’autocommiserazione sta diventando eccessiva indulgenza verso la nostra parte peggiore allora è tempo di smetterla con i piagnistei e le recriminazioni e di rimboccarci le maniche per migliorare noi stessi e il mondo.
Sentirsi vittime, infatti, comporta quasi sempre la segreta pretesa di avere solo diritti, che gli altri non vedono e non capiscono, di avere attese che vengono irrimediabilmente deluse. Ma, purtroppo, queste delusioni rischiano di diventare lo scopo vero della vita, perchè alcuni riescono ad essere “felici” solo autocommiserandosi. Sono malati? Probabilmente sì. Con l’aggravante di far ammalare anche chi vive accanto a loro.
don Roberto