30 novembre 2020
Attendiamo. Mai come quest’anno l’Avvento si caratterizza per un’attesa. Attesa di guarigione, attesa di libertà, attesa di relazioni pienamente umane. Attesa di qualcuno, anche. Di qualcuno bravo, che ci risolva i problemi, che trovi un vaccino per il virus che ci angoscia, che prenda decisioni sagge, che faccia tornare tutto come prima della pandemia.
Attesa. O illusione? Non è facile vivere nella precarietà. O almeno, non è facile viverci per lungo tempo. La precarietà è come la sofferenza: quando non passa a breve comincia a limare, a rodere, a insinuarsi nelle pieghe dell’anima e inibisce la sopportazione, la resistenza. Andiamo giù di morale, come si dice comunemente. Iniziamo a farci prendere dal pessimismo, dalla malinconia; diventiamo nervosi, irascibili, rancorosi. Lasciamo sempre più spazio ai lati peggiori del nostro carattere.
Aspettiamo una soluzione ai nostri problemi, ma l’attesa viene frustrata, diventa spasmodica, nevrotica. E così viene meno la fiducia nelle istituzioni, nelle persone, in noi stessi, persino in Dio. Già, perchè molti non lo ammetterebbero mai, ma è proprio da Dio che si aspetterebbero un intervento risolutivo, un colpo di bacchetta magica che tolga di mezzo il covid e faccia riaprire i negozi e ci permetta di buttar via le mascherine e ci renda ancora capaci di vedere nell’altro un amico e non ci costringa più a sentire in televisione l’elenco dei morti, dei contagiati, dei ricoverati in terapia intensiva…
Dio: è proprio Lui il Qualcuno che aspettiamo. Ma forse lo aspettiamo nel modo sbagliato. Forse dovremmo aspettarlo non come il personaggio che può toglierci i problemi bensì come Colui che ci dà la forza di affrontarli. E di mantenerci umani anche in una situazione nella quale l’umanità rischia di soccombere all’animalità. Siamo bisognosi di aiuto per riscoprirci solidali, per vedere che gli altri sono prima di tutto fratelli e sorelle con cui condividere progetti di bene, d’amore. Abbiamo bisogno del Suo aiuto per tirar fuori, ancora una volta, le nostre risorse, la nostra intelligenza, la nostra pazienza e la nostra caparbietà, per dire a noi stessi e agli altri che ce la faremo, che vinceremo anche questa battaglia, che potremo ancora gioire e abbracciarci e sorriderci con la bocca, non solo con gli occhi.
Aspettiamo, dunque. Certi che ce la faremo, con il Suo aiuto.
don Roberto