25 novembre 2019
Sta per iniziare l’Avvento, il tempo dell’attesa. Aspettiamo il Natale, così come, nella vita, aspettiamo tante altre cose.
Ma siamo ancora capaci di aspettare. Qualche volta corriamo il rischio di finire preda di una logica perversa, quella del “tutto e subito”. Forse perchè siamo abituati ad avere le notizie in tempo reale, forse perchè in un attimo possiamo parlare con chi è dall’altra parte del mondo, forse perchè possiamo mangiare le fragole in ogni momento dell’anno, fatto sta che facciamo un po’ fatica a tollerare l’attesa. Eppure dovrebbe essere normale, l’attesa. Soprattutto quando siamo di fronte ad una persona che sta crescendo o quando anche noi stessi non riusciamo a fare tutto e subito.
Attendere i tempi dell’altro, come si vive il ciclo delle stagioni. Sapere che, quando si tratta di persone, nulla è scontato o dovuto. Aspettare di vedere maturare i frutti, senza ansia, senza fretta: dovrebbe essere l’atteggiamento più umano e più normale, se fossimo ancora umani e normali. Aspettare che le persone e le situazioni sviluppino tutte le loro potenzialità nel tempo che passa, apparentemente infruttuoso, ci sembra contrario al buonsenso e all’economia.
E così mangiamo polli che in realtà sono ancora pulcini e buoi che sono ancora vitellini. Pretendendo anche dalle persone (e qualche volta anche da noi stessi) cose che sono assolutamente fuori portata, in un’assurda sfida a chi corre più veloce. ” Bisogna dare tempo al tempo”, diceva un vecchio proverbio, frutto di una saggezza plurimillenaria, che sembra ormai demolita negli ultimi decenni. E invece sarebbe proprio importante recuperare la capacità di aspettare, soprattutto quando si ha un ruolo educativo.
Aspettiamo, dunque. In un’attesa operosa, che sa contemplare il bello e il buono che c’è e che ci potrà essere in ognuno.
don Roberto