22 novembre 2021
I dati sono impressionanti. E si riferiscono alle cifre del 2020.
In questo anno, alle prese con la pandemia, nel mondo si sono spesi 1.981 miliardi di dollari per la produzione e l’acquisto di armi, con un incremento del 2,6% rispetto all’anno precedente. La fetta più grossa di questa torta avvelenata va agli Stati Uniti, con il 39% della cifra succitata. Poi arrivano la Cina, l’India, la Russia e il Regno Unito.
L’Italia è quattordicesima, con 24,5 miliardi. Prima dell’Italia troviamo il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia. Anche alcuni Paesi africani, che non brillano certo per benessere della popolazione: il Mali ha speso il 22% in più rispetto all’anno precedente, la Mauritania il 23%, la Nigeria il 29% e il Ciad il 31%.
Panorama desolante. Panorama che diventa ancora più tragico se si pensa ad altri settori dove i soldi potrebbero essere impiegati per far star meglio la gente. E invece l’industria bellica e il commercio delle armi continuano ad essere uno dei motori dell’economia mondiale. E qui bisognerebbe aprire un capitolo molto ampio, perché dietro le armi ci sono milioni di famiglie che grazie ad esse vivono e si mantengono. Questo richiederebbe un grandioso sforzo di riconversione e di cambiamento di produzione per tantissime aziende. E, a loro volta, dovrebbero essere coinvolti gli Stati, con politiche di aiuto e di incentivi per queste aziende.
Insomma, il discorso è molto più complesso e articolato di quanto certo pacifismo a buon mercato ci voglia far credere. Resta il fatto di un mare di soldi spesi, a conferma che i soldi non mancano, ma li si usa solo per determinati scopi. E viene da chiedersi a chi possa giovare il mantenere miliardi di persone in uno stato di povertà.
Come dice spesso il Papa, occorre una conversione globale, che però deve partire da ognuno di noi. Forse se evitassimo le nostre piccole guerre con i vicini di casa sarebbe già qualcosa.
don Roberto