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Anniversari

18 Giugno 2018 by Manuela Brancatisano

18 giugno 2018

L’11 giugno ho festeggiato 30 anni di sacerdozio.
Tanti? Pochi? Certamente passati in fretta.

Certamente pieni di tante situazioni, di gioie e di dolori.
Certamente pieni di persone, che, in un modo o nell’altro, li hanno scavati e modellati, questi 30 anni.
In questi giorni continuano a venirmi in mente due frasi. La prima fu pronunciata dal vescovo monsignor Coletti in occasione dell’ ordinazione presbiterale del 2007. Durante l’omelia il vescovo disse ai novelli: “Ricordatevi che siete preti perchè Dio ha avuto pietà di voi”. Mi aveva colpito molto, quella frase.
Schietta, tagliente, controcorrente. L’ho applicata a me. Dio mi ha voluto prete perchè ha avuto pietà di me.
Perchè sapeva che sarei stato un pessimo marito e uno scadente papà. Perchè sapeva che un conto è amare tutti (solitamente senza amare mai nessuno davvero) e un conto è amare una persona vera, in carne e ossa, che ha il diritto di essere amata e di sentirsi amata tutti i giorni della vita.
Perchè sapeva che un conto è dare buoni consigli ai genitori su come educare i figli e un conto è averli, i figli.
E perdere le notti quando piangono da piccoli e quando rincasano tardi da giovani, e farli sentire amati tutti i giorni, non solo al campo estivo.

Dio ha avuto pietà di me, come, credo, di tanti altri che ha chiamato ad essere preti e vescovi. Dio sapeva che per me una famiglia sarebbe stata troppo pesante, che non ce l’avrei fatta ad amare una sposa e dei figli, che mi sarei sentito schiacciato dalla responsabilità, che, forse, avrei fallito.
E allora Dio ha avuto pietà di me e mi ha trovato un posto non troppo difficile da gestire e pieno di gioie, totalmente immeritate. Dio è stato buono con me.

L’altra frase è stata scritta nel febbraio 2014 sul sito della diocesi a proposito di un prete reo confesso di abusi su alcune ragazzine e che il Papa aveva appena dimesso dallo stato clericale.
Diceva l’allora vicario episcopale per la cultura, attualmente delegato vescovile per la formazione permanente del clero (!!!), del suddetto prete: “Non era un cattivo prete”.
Questa frase mi è sempre risuonata un po’ consolatoria. Perchè allora è proprio difficile essere cattivi preti, perchè allora qualcosa di buono l’abbiamo tutti, magari anch’io. Ma insieme a queste considerazioni mi viene anche da pensare che un prete, come ogni personaggio pubblico, è soggetto al giudizio di tanti.

“Chi dice la gente che io sia?”, chiedeva Gesù ai suoi discepoli. E le diverse risposte lasciano intuire che ognuno ha i suoi criteri di giudizio.
Quali criteri può usare un vescovo per giudicare i “suoi” preti? E quali criteri possono usare i preti per giudicarsi tra loro? E quali criteri possono usare i laici per giudicare i preti?

Speriamo che non ci siano solo i criteri contenuti in una facezia (augurandomi che fosse tale) del cardinal Casaroli, segretario di Stato del Vaticano: “Io giudico un prete dalla biblioteca e dalla cantina”.

Che cosa diranno di me al mio funerale? Ogni tanto me lo chiedo. Così come mi chiedo altre cose: non essere cattivi preti equivale all’essere bravi preti? E chi stila le pagelle?

Forse sarà il caso di rimettersi al giudizio di Dio e di sforzarsi di piacere a Lui.
Anche perchè cercare di piacere agli uomini è sfibrante e qualche volta richiede di avere saliva in quantità industriale.

don Roberto

Posted in: Riflessioni Tag: anniversari, don roberto pandolfi, parrocchia grandate, riflessioni

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