11 dicembre 2017
<<In un incontro con Papa Francesco, una vittima di abusi sessuali ebbe a dire con profonda tristezza e disperazione: “Gesù aveva vicino sua madre quando ha affrontato la sofferenza ed è morto. Mia madre, la Chiesa, invece mi ha lasciato da solo nel momento del mio dolore”.
Già solo in questa frase si può scorgere quanto sia orribile un abuso e in particolare che cosa significhi l’abuso sessuale sui minori nella Chiesa, e come debbano cambiare atteggiamento la Chiesa stessa e coloro che in essa detengono posizioni di responsabilità…
Non di rado coloro che hanno dovuto subire sofferenze indicibili a opera di rappresentanti della Chiesa e denunciano il fatto e vogliono essere ascoltati vengono respinti o si rimprovera loro di essere dei sobillatori che farebbero meglio a tacere. Anche in questo caso diventa molto grave il pericolo di trauma spirituale, accanto a quello fisico e psichico.
La portata di tutto questo sembra non essere chiara a molti nella Chiesa, anche a coloro che vi occupano posti di responsabilità…Non meraviglia perciò che le vittime considerino la Chiesa, nella sua reazione alla denuncia di un abuso, più come un’istituzione preoccupata di se stessa che non come una madre amorevole…
Quando si tenta di arginare o di procrastinare questi problemi si mette in atto un istinto di conservazione individuale e istituzionale.
Il film Spotlight, in cui si stigmatizza il fatto che per decenni siano stati occultati abusi compiuti da sacerdoti, descrive molto bene questo meccanismo…
Un altro ingrediente di quella miscela tipicamente cattolica che rende possibile l’abuso e ne impedisce la scoperta è un atteggiamento che potremmo definire “mentalità da trincea”. Si vogliono risolvere le cose “all’interno”, escludendo la dimensione pubblica, perchè si teme per la propria reputazione o per quella dell’istituzione.
Si dimentica così sia la sofferenza delle vittime (che devono essere tenute in silenzio) sia una legge dei mass media che afferma: ” Prima o poi le cose si vengono a sapere. Prendi tu l’iniziativa, riconosci l’errore, scusati onestamente e sarai creduto”. Spesso qui entra in gioco anche un’interpretazione unilaterale del legame speciale e della responsabilità che unisce il vescovo ai suoi sacerdoti. Da un lato, non si considera che la “cura paterna” non implica soltanto perdono e misericordia, ma anche una giusta punizione. Dall’altro, interviene quello spirito di corpo a causa del quale i vescovi pensano anzitutto a proteggere la “propria” parte e non il bene dei deboli e dei bisognosi.
Accenniamo solo marginalmente al fatto che molti autori di abusi sono assai abili a cavarsela e anche a manipolare i propri superiori; e che questi sono troppo inclini a credere a ciò che si promette loro (“non lo farò mai più”) e usano quindi una falsa misericordia verso i colpevoli. Seguendo una logica ritenuta valida, non ci si procura aiuto competente dall’esterno, ma si ritiene di poter risolvere le cose con mezzi e strategie proprie. Ci si arrocca così nella trincea e si trascura il fatto che sono stati soprattutto i sistemi chiusi, come negli ambienti cattolici dell’Irlanda o dell’Australia o degli Stati Uniti, quelli in cui si sono verificati abusi con una frequenza e una durata spaventose…
In una società in cui uno dei valori più alti è la credibilità, la crisi provocata dagli abusi ci pone di fronte a domande decisive: siamo disposti a rivedere il nostro modo di essere Chiesa? Dobbiamo chiederci fino a che punto rifiutiamo di farlo, fino a che punto rimuoviamo l’ingiustizia e il male che si è commesso…
Come configurare oggi l’esercizio del potere in senso evangelico? Come possono vescovi e superiori religiosi imparare a soppesare le decisioni e prenderle al momento giusto? Come devono essere formati i futuri sacerdoti e religiosi? Già da qui si intravede quanto sia difficile, per coloro che hanno responsabilità nella Chiesa, ma anche per i semplici fedeli, aver fiducia in Gesù e credere alle sue parole: ” La verità vi farà liberi”. Non è facile guardare in faccia alla verità pura e semplice. Richiede coraggio e la volontà di porsi di fronte alla realtà, per quanto sconvolgente e dolorosa possa essere…
La lotta contro gli abusi sessuali durerà ancora a lungo… Essa implica una conversione radicale e un atteggiamento deciso per rendere giustizia alle vittime e per la prevenzione totale.
Il messaggio del Dio di Gesù Cristo è la fonte e la forza per questa attività e per questa riflessione. Perchè Dio ama soprattutto i piccoli e i vulnerabili>>.
Queste parole non sono di qualche prete “divisivo”, non allineato, egocentrico e refrattario alla più sana disciplina ecclesiastica, come il sottoscritto. E nemmeno di un torvo e arrabbiato laicista, pronto solo a vedere solo i difetti della Chiesa e non i pregi.
Sono di padre Hans Zollner, gesuita, docente di psicologia alla Pontificia Università Gregoriana, psicoterapeuta che da anni si occupa delle problematiche relative agli abusi sessuali nella Chiesa Cattolica. E non sono state scritte in qualche sito internet sovversivo, come quello della Parrocchia di Grandate, e nemmeno su qualche rotocalco scandalistico disposto ad affrontare morbosamente certi temi per vendere qualche copia in più, bensì sul numero del novembre 2017 de “La civiltà cattolica”, prestigiosa rivista dei Gesuiti, sempre in linea con il pensiero dei Pontefici regnanti.
Non faccio commenti. Lascio a ognuno trarre le proprie conclusioni. Anche riguardo a situazioni molto recenti e molto vicine a noi.
Don Roberto