10 settembre 2018
Le parole del gesuita Hans Zollner, presidente del centro per la protezione dei minori della Pontificia università Gregoriana, riguardo al ritardo della Chiesa italiana nel prendere seriamente in considerazione il problema degli abusi da parte del clero, suscitano l’intervento di monsignor Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna-Cervia, membro di una commissione per la tutela dei minori che la Conferenza episcopale italiana ha istituito lo scorso anno, commissione fatta di esperti di diritto canonico, diritto civile, educatori, psicologi e anche esperti del mondo della comunicazione.
In un’intervista al quotidiano “Avvenire”, l’arcivescovo dice che l’obiettivo di questa commissione è quello di stilare nuove linee guida che si concentrino sul teme della prevenzione e su quello della formazione di sacerdoti, animatori, allenatori, di tutte le persone che, negli ambienti cattolici, sono a contatto con bambini, adolescenti e persone vulnerabili.
“Zollner ha l’esperienza della Germania, pensa che quell’esplosione di casi potrebbe arrivare anche in Italia. Da noi casi ne sono emersi e numerosi, ma sono rimasti a livello locale, non è successa un’esplosione che ha coinvolto tutta la Chiesa…bisogna creare nelle diocesi delle equipe, delle strutture che possano fare formazione e prevenzione. Perchè non lo stiamo facendo e questo è il problema.
Non c’è nessuno che per esempio raduni i nostri educatori di oratorio e faccia un corso su quali sono i segnali a cui stare attenti, come impostare il rapporto con le famiglie, quali sono le cautele che bisogna avere nelle attività che si fanno. Qualche diocesi si è messa avanti, ma noi vorremmo che diventasse un impegno di tutte”.
In attesa che le commissioni lavorino e i vescovi recepiscano, sarà il caso di ricordare che dal 2000 a oggi in Italia 140 sacerdoti sono stati condannati in via definitiva dai tribunali dello Stato per abusi sessuali su minori e 135 sono ancora sottoposti a giudizio. A questo già preoccupante numero andrebbero aggiunti quelli che sono stati denunciati solo a livello canonico (i processi sono coperti dal segreto e quindi i superiori ecclesiastici hanno ampia possibilità di manovra. Anche a questo si deve la “soluzione” di spostare un prete abusatore da una parrocchia all’altra) e quelli per cui non viene nemmeno istruito il processo canonico, ma ci si accontenta di qualche bonario richiamo, magari con la condiscendenza dei genitori delle vittime.
E non prendiamo in considerazione i laici operanti in strutture cattoliche, condannati in via definitiva, e le suore (ebbene sì, ci sono anche le suore!). Mi sembra una situazione poco rosea, quella della Chiesa italiana. Soprattutto perchè dietro questi numeri ci sono i volti sofferenti di tanti bambini e bambine, ragazzi e ragazze, dei loro genitori, di chi si fidava di un’istituzione e dei suoi rappresentanti, che troppo spesso hanno la presunzione di parlare in nome di Dio anche se Dio non sanno nemmeno dove stia di casa.
Sull’aereo che lo riportava a Roma dall’Irlanda, nella consueta conferenza, il Papa ha risposto così alla domanda di una giornalista che gli chiedeva che cosa può concretamente fare il Popolo di Dio per fermare la piaga degli abusi: “Parlare. Parlare con le persone giuste, con coloro che possono iniziare un giudizio. Con un giudice, con il vescovo, con il parroco, se il parroco è bravo”.
Un’indicazione chiara su come procedere, anche per evitare che questi crimini restino confinati nelle segrete stanze, magari con la giustificazione ipocrita della ” salvaguardia delle vittime”, le quali vengono poi calunniate a mezza voce, in ogni sede, da chi ufficialmente è così preoccupato di preservarle dalla “gogna mediatica”.
Mi è venuto un po’ da sorridere, ascoltando le parole del Papa, davanti a quel “se il parroco è bravo”. Perchè in realtà i dubbi sulla “bravura” dovrebbero, stando ai fatti, riguardare soprattutto i vescovi.
Non so se anche i vescovi hanno l’abitudine, come fa il Papa, di chiedere, alla fine dei loro discorsi, una preghiera per sè. Forse sarebbe il caso che lo facessero. Comunque noi non gliela faremo mancare.
don Roberto