3 settembre 2018
Parole forti, quelle del Papa. Non nuove.
Già lo scorso anno aveva detto alla Commissione vaticana per i minori: “La pedofilia è antica malattia. La Chiesa è arrivata tardi. Tardi nell’avere coscienza della gravità problema, tardi nell’assumersi le proprie responsabilità. E’ la realtà: siamo arrivati in ritardo. Forse l’antica pratica di spostare la gente ha addormentato un po’ le coscienze”.
Già, spostare preti da una parrocchia all’altra, confidando nella loro capacità di autocontrollo, accontentarsi di qualche percorso psicologico al termine del quale sentirsi dire che la persona è perfettamente guarita, avere come unica preoccupazione il “buon nome” della Chiesa, un malinteso senso della paternità, che sconfina nella dabbenaggine e nella difesa della casta, tutti ingredienti esplosivi che hanno permesso a centinaia di abusatori di continuare a perpetrare i loro crimini. Ma non basta.
Perchè la denuncia era (è?) guardata con distacco e superficialità, quando non con ostilità. E non parliamo di quando la denuncia veniva fatta alla Magistratura dello Stato, anzichè all’istituzione ecclesiastica, dove tutto avrebbe rischiato di finire a tarallucci e vino, con qualche pacca sulla spalla e l’immancabile ringraziamento per il silenzio ossequioso e intriso di misericordia verso il povero prete che ha sbagliato e il povero vescovo profondamente ferito nella sua paternità sacerdotale.
Parliamoci chiaro: denunciare esponeva (espone? Esporrà?) a tanti rischi.
Bisognava (bisogna? Bisognerà?) mettere in conto l’ostracismo da parte della stessa comunità ecclesiale, le calunnie più tremende (persino quella di aver tradito il segreto confessionale) messe in giro per screditare i denuncianti, la disapprovazione di preti, laici e suore per aver suscitato scandalo (lo scandalo, ovviamente, non è, per i benpensanti, l’abuso sessuale, ma l’averlo portato alla luce), le accuse di incuria per i genitori e di immoralità per i minori coinvolti…
Potrei continuare, ma forse è meglio guardare il positivo e pensare alle parole del Papa come ad uno stimolo per tutti ad essere coerenti con il Vangelo, anche quando non sembra essere così misericordioso come il “misericordismo”, oggi in voga, vorrebbe.
Altrimenti dovremmo pensare che l’unico modo per convertire certi cuori induriti sia quello di colpire là dove quel cuore ha il suo tesoro, e cioè i soldi. Negli Stati Uniti già 17 diocesi hanno dichiarato fallimento dopo essersi sbancate per risarcire le vittime di abusi perpetrati da ecclesiastici. In Italia fino ad ora solo due diocesi sono state condannate a risarcire le vittime e hanno dovuto pagare. Sarebbe triste, ma anche questo potrebbe essere un incentivo alla vigilanza da parte di chi deve vigilare. E, in ogni caso, certe situazioni hanno goduto di fin troppe coperture, a tutti i livelli.
E’ tempo di dare una svolta. E anche chi prova dentro di sè dolore e vergogna per essere stato abusato deve trovare il coraggio di aprirsi e denunciare, in tutte le sedi opportune, ciò che ha subito, certo di trovare, come vuole il Papa, ascolto, comprensione, solidarietà e, soprattutto, giustizia. Parlare e denunciare è l’unico modo per iniziare a guarire. E solo la guarigione può portare ad un perdono vero.
Il vero bene della Chiesa è affrontare apertamente il peccato e sconfiggere l’opera di Satana, che predilige le tenebre, la menzogna e i silenzi omertosi e complici.
Concludo con le parole di Hans Zollner, presidente del Centro per la protezione dei minori della Pontificia Università gregoriana, il quale, commentando la lettera del Papa in un’ intervista all’agenzia Sir, fa un paragone per niente lusinghiero tra la Chiesa statunitense e quella italiana: “Troppi sacerdoti – tra il 4 e il 6 per cento nell’arco di 50 anni- hanno agito contro il Vangelo e contro le leggi. Dal momento che i vescovi americani hanno preso sul serio la lotta contro questo male, dal 2002, non ci sono quasi più accuse di nuovi casi. Mi preme dire che l’Italia non ha ancora vissuto un tale momento di verità riguardo l’abuso sessuale e lo sfruttamento del potere riguardo il passato. Mi auguro che queste ultime settimane, con tante notizie sconvolgenti, abbiano aperto gli occhi e il cuore anche alla Chiesa italiana e ai suoi responsabili per impegnarsi senza esitazione e in modo consistente in ciò che è una chiamata urgente del Signore a tutto il Popolo di Dio”. C’è da riflettere.
don Roberto